I “Ti Mangiu”: così la cosca Labate dominava Reggio Calabria tra affari, intimidazioni e legami istituzionali
Dall’infiltrazione nella grande distribuzione al controllo del quartiere Gebbione, passando per favori nella pubblica amministrazione: l’inchiesta Monastero svela il potere pervasivo del clan e il silenzio che lo ha protetto

Il soprannome – Ti Mangiu – è tutto un programma dell’aggressività della cosca Labate: il loro territorio, il quartiere Gebbione di Reggio Calabria, è uno dei più vivi sul piano commerciale. Lo ha spiegato, nella conferenza stampa che ha raccontato l’inchiesta Monastero, il procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo. Lombardo ha offerto un dato significativo: nell’area della città sulla quale si estende il governo criminale dei Ti mangiu vivono 54mila persone. Cifra che restituisce plasticamente l’importanza dell’operazione che ha messo un freno alle ingerenze del clan.
Gli interessi nella grande distribuzione
A proposito di vitalità commerciale e di appetiti criminali: oltre ai quattro destinatari di misure cautelari Francesco Salvatore Labate, Michele Labate, Paolo Labate e Antonino Laganà, è indagato a piede libero anche Filippo Foti, imprenditore con il quale la cosca avrebbe stretto un patto per infiltrarsi in maniera occulta nel settore della grande distribuzione alimentare e in altri contesti imprenditoriali. In cambio di questo presunto accordo, i Labate avrebbero offerto a Foti protezione e la garanzia di un intervento per risolvere qualsiasi tipo di problema: episodi di microcriminalità, incomprensioni con la concorrenza, il recupero di eventuali refurtive.
Per il gip esisterebbero «rapporti di cointeressenza tra i Labate (gli indagati Michele e Paolo, ndr)» e l’imprenditore, tanto che i primi sarebbero presenti in maniera «inspiegabile» nelle strategie del secondo. Tuttavia, per il giudice, l’inchiesta non fa emergere i vantaggi conseguiti da Foti in virtù di questo rapporto. In generale, non sarebbe emersa «nemmeno a livello indiziario la prova che l’azienda di Foti abbia beneficiato dell’appoggio della cosca Labate, consentendogli di importi sul territorio in posizione dominante. Ci sarebbe stata, dunque, una compartecipazione tra alcuni esponenti della cosca e l’imprenditore della grande distribuzione, «al punto da apparire ipotizzabile l’esistenza di una società di fatto» ma non sarebbero stati «individuati e dimostrati gli specifici vantaggi ingiusti conseguiti da Foti in seguito alla stipula del patto con la cosca Labate».
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