Omicidio Covato nel Vibonese, ergastolo per Nazzareno Colace: cinque pentiti l’accusano
Il processo mirava a far luce sul caso di lupara bianca che ha coinvolto il giovane di Portosalvo sparito nel gennaio del 1990. Contestato pure l’occultamento del cadavere


Condanna alla pena dell’ergastolo da parte della Corte d’Assise di Catanzaro per Nazzareno Colace, 61 anni, di Potosalvo (frazione di Vibo) ritenuto responsabile dell’omicidio di Francesco Covato, sparito tra il 23 ed il 24 gennaio 1990. In concorso con altri soggetti allo stato non identificati, Nazzareno Colace era accusato di essere stato il promotore, l’ideatore e l’esecutore del delitto, “esplodendo colpi d’arma da fuoco all’indirizzo di Francesco Covato“, attinto in zone vitali del corpo e quindi ucciso. A Nazzareno Colace era contestata anche l’aggravante della premeditazione, avendo mantenuto “fermo e costante il proposito delittuoso durante un consistente lasso di tempo (intercorso tra l’attentato ai suoi danni del 19 settembre 1987 e l’effettiva realizzazione del delitto)”, nonché avendo provveduto a preparare accuratamente l’azione criminosa sino all’esecuzione dell’omicidio. Tra le contestazioni pure l’ulteriore aggravante di aver commesso il delitto per motivi abietti e futili, consistiti nell’aver eseguito l’omicidio per vendicare il precedente agguato commesso da Francesco Covato ai danni di Nazzareno Colace il 19 settembre 1987. Fra le parti offese – costituite parti civili – c’era la Provincia di Vibo Valentia e la Regione Calabria.
L’attività investigativa è stata condotta sul “campo” dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia. Cinque i collaboratori di giustizia che hanno accusato Nazzareno Colace del delitto: Carlo Vavalà di Cessaniti, Michele Iannello di san Giovanni di Mileto, Gerardo D’Urzo di Sant’Onofrio (deceduto), Rosario Cappello di Lamezia Terme, Raffaele Moscato di Vibo Marina, Andrea Mantella di Vibo Valentia, Bartolomeo Arena di Vibo Valentia, Antonio Guastalegname di Vibo Marina. Nazzareno Colace era difeso dagli avvocati Francesco Gambardella e Antonio Larussa.
Secondo l’impostazione accusatoria, l’omicidio di Francesco Covato fa riferimento allo scontro armato con la famiglia Covato di Portosalvo, entrata in contrasto con i Tripodi e con lo stesso Nazzareno Colace, il quale all’epoca gestiva un negozio di articoli sportivi a Vibo Marina su Viale dell’Industria, all’insegna “Elegant 84”. Contro la saracinesca del negozio, il 18 settembre 1987 venivano esplosi tre colpi di pistola mentre il 19 settembre 1987 sulla statale 522, in direzione di Bivona, Nazzareno Colace ed Umberto Artusa venivano investiti da colpi di pistola che colpivano le auto dei predetti e causavano gravi lesioni al tronco a Colace ed agli arti inferiori al commerciante d’abbigliamento Artusa (attualmente imputato in Rinascita Scott).
Il 23 gennaio 1990 Francesco Covato – all’età di 20 anni – rimaneva quindi vittima della “lupara bianca”. Le ricerche delle forze dell’ordine, avviate a seguito della denuncia del padre della vittima, portarono al solo rinvenimento della sua automobile, trovata nel parcheggio del Stazione ferroviaria di Tropea. Esattamente cinque anni dopo, il 23 gennaio 1995, spariva all’età di 20 anni anche Massimiliano Covato. La sua auto è stata ritrovata abbandonata alla stazione di Vibo- Pizzo con le chiavi ancora inserite.
Il clan Tripodi di Portosalvo – al quale all’epoca, secondo gli investigatori, apparteneva Colace prima di diventare il “braccio-destro” di Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni – avrebbe inteso fermare definitivamente l’irruenza di Francesco Covato, che da tempo imperversava per le strade di Vibo Marina commettendo atti intimidatori e reati contro il patrimonio.
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