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‘Ndrangheta: omicidio di Domenico Di Leo a Sant’Onofrio, chiesto l’ergastolo per Francesco Fortuna

È accusato di aver premeditato e pianificato l’omicidio del 12 luglio 2004 nei pressi dell’abitazione della vittima che stava rientrando dall’ospedale di Vibo

‘Ndrangheta: omicidio di Domenico Di Leo a Sant’Onofrio, chiesto l’ergastolo per Francesco Fortuna

La Procura distrettuale di Catanzaro ha chiesto la condanna all’ergastolo per Francesco Fortuna, 36 anni, di Sant’Onofrio, arrestato nel gennaio scorso su ordinanza del gip distrettuale di Catanzaro con l’accusa di concorso nell’omicidio – aggravato dal metodo mafioso (agevolazione della cosca di ‘ndrangheta dei Bonavota di Sant’Onofrio) – ai danni di Domenico Di Leo. La richiesta è stata formulata dinanzi al gup distrettuale, Antonio Battaglia, nel corso del processo con rito abbreviato che comporta un processo a porte chiuse, allo “stato degli atti” ed in caso di condanna anche lo sconto di pena pari ad un terzo.

In particolare, Francesco Fortuna è accusato di aver premeditato e pianificato “nei minimi dettagli” l’omicidio portando a compimento l’agguato il 12 luglio 2004 nel centro abitato di Sant’Onofrio e precisamente in via Tre Croci, proprio nei pressi dell’abitazione della vittima che stava rientrando dall’ospedale di Vibo Valentia a bordo di una mini car.

Omicidio Di Leo, arrestato Francesco Fortuna

A sostegno dell’impalcatura accusatoria, anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia vibonese Andrea Mantella che ha confessato di aver accompagnato i sicari sul luogo dell’omicidio guidando di persona l’auto servita prima per aspettare la vittima predestinata e poi per freddarla. Insieme a Francesco Fortuna, Andrea Mantella ha indicato nel suo ex braccio-destro, Francesco Scrugli, l’altro autore materiale dell’agguato poi ucciso a Vibo Marina nel marzo 2012 nella guerra di mafia fra il clan dei Piscopisani ed i Patania di Stefanaconi.

L’omicidio Di Leo e l’ascesa del clan Bonavota – VIDEO

La vittima. Domenico Di Leo, detto “Micu i Catalanu”, era ritenuto dagli inquirenti un componente dello stesso clan Bonavota con il ruolo di “braccio armato”. Entrato in contrasto con i figli del defunto boss Vincenzo Bonavota, è stato attinto da diversi colpi d’arma (Kalashnikov e fucile a pompa), tanto che sul posto sono stati rinvenuti i bossoli di oltre 45 colpi.

Le prove. Al di là di diverse intercettazioni e del racconto dei collaboratori di giustizia Francesco Michienzi, Loredana Patania, Raffaele Moscato e Andrea Mantella, l’elemento di prova più forte a carico di Francesco Fortuna, secondo i carabinieri della Compagnia di Vibo Valentia e la Dda di Catanzaro, è di carattere tecnico-scientifico: l’individuazione di due profili genotipici riconducibili a soggetti di sesso maschile che hanno avuto un “ruolo attivo” nella commissione del grave fatto di sangue, perché le relative tracce sono state rinvenute nei guanti in lattice utilizzati. In particolare sarebbero le tracce di dna rinvenute su quattro guanti in lattice a “inchiodare” Francesco Fortuna. Le analisi avrebbero consentito di isolare un dna che, comparato con il profilo genotipo dell’indagato, avrebbe dato “completa sovrapponibilità”.

Il 7 luglio riprenderà il processo con le arringhe difensive degli avvocati Sergio Rotundo e Salvatore Staiano che assistono l’imputato Francesco Fortuna.

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