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‘Ndrangheta: condannato l’imprenditore Annunziata per collusione con i Piromalli

Nel maggio dello scorso anno gli sono stati confiscati beni per 215 milioni di euro fra cui anche il negozio a Vibo Valentia e il centro commerciale di Gioia Tauro

‘Ndrangheta: condannato l’imprenditore Annunziata per collusione con i Piromalli
Alfonso Annunziata

Il Tribunale collegiale di Palmi ha condannato l’imprenditore di Gioia Tauro Alfonso Annunziata (di 77 anni) a 12 anni di carcere. Assolti, invece, tutti gli altri imputati nel procedimento coordinato dalla Procura antimafia di Reggio Calabria denominato “Bucefalo”.

Il pubblico ministero Roberto Di Palma, sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, aveva chiesto 17 anni di carcere per il noto imprenditore dell’abbigliamento originario di San Giuseppe Vesuviano, ma da decenni trapiantato a Gioia Tauro. Una richiesta pesante, quella del rappresentante della Procura antimafia di Reggio Calabria, che era comunque la fisiologica conseguenza della ricostruzione effettuata durante la lunga requisitoria. Di Palma, inoltre, aveva chiesto la condanna degli altri imputati finiti nell’inchiesta “Bucefalo”, tutti parenti di Alfonso Annunziata, ovvero: Domenica Epifanio 3 anni, Valeria Annunziata 4 anni, Rosa Anna Annunziata 3 anni, Marzia Annunziata 3 anni, Carmelo Ambesi 3 anni, Fioravante Annunziata 5 anni, Claudio Pontoriero 5 anni, Roberta Bravetti 5 anni, Andrea Bravetti 3 anni. Secondo la tesi prospettata dagli inquirenti, dalle indagini sarebbe emersa l’esistenza «di un indissolubile rapporto di sinergia economico-criminale» tra l’imprenditore e la cosca Piromalli. Tali imputati sono stati però tutti assolti. L’imprenditore Annunziata è titolare dell’omonimo negozio di abbigliamento con sedi a Gioia Tauro e Vibo Valentia. Il reato per il quale è stato condannato è quello di associazione mafiosa, mentre è stato assolto dall’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla commercializzazione di merce contraffatta. Annunziata è stato condannato anche al risarcimento dei danni nei confronti della Regione Calabria (50mila euro) e del Comune di Gioia Tauro (90mila euro), costituiti parte civile nel processo.

Il defunto boss Peppino Piromalli

L’accusa. Secondo la Dda di Reggio Calabria, Alfonso Annunziata avrebbe stretto negli anni ’80 un accordo con Peppino Piromalli (cl. ’21), deceduto nel 2005 e fondatore dell’omonimo clan della ‘ndrangheta insieme al fratello Girolamo, alias “don Mommo”, morto invece nel 1979. Da Peppino Piromalli, l’imprenditore napoletano – dopo essere stato in un primo tempo allontanato dalla Calabria – avrebbe ricevuto il permesso di ritornare a Gioia Tauro per realizzare il primo negozio in una zona centrale della cittadina. 

Una posizione, quella dell’accusa, che ha portato il procuratore aggiunto Gaetano Paci e il sostituto Di Palma a chiedere e ottenere al Tribunale misure di prevenzione la confisca dell’intero patrimonio riconducibile a Annunziata, un tesoro di circa 215 milioni di euro. Successivamente è avvenuto l’acquisto del terreno nei pressi dello svincolo autostradale dove attualmente sorge il parco commerciale “Annunziata”. Ad avviso della Dda, i soldi per l’acquisto del terreno sarebbero stati dati ad Annunziata da Pino Piromalli (cl. ’45), alias “Facciazza”, nipote di Peppino Piromalli in quanto figlio di Antonino Piromalli (ucciso negli anni ’50 nella faida con la famiglia Carlino), quest’ultimo fratello di don Mommo e dello stesso don Peppino. Pino Piromalli – attualmente in carcere perché condannato nei processi nati dalle operazioni “Tirreno” e “Cent’anni di storia” – avrebbe quindi intestato il terreno ad Alfonso Annunziata ricevendo in cambio il denaro ricavato con l’apertura della nuova attività imprenditoriale e la possibilità di far eseguire i lavori ad imprese amiche.

Il boss Pino Piromalli

La versione di Annunziata. A aprile dello scorso anno, l’imprenditore di origine campane è stato sentito come testimone e due giorni dopo era stato scarcerato. Era detenuto da due anni. L’imprenditore aveva dichiarato di essere vittima della ‘ndrangheta non un partecipe. Annunziata, infatti, aveva affermato di avere sempre pagato il pizzo raccontando la sua storia imprenditoriale a Gioia Tauro, prima e dopo l’intimidazione del 1987, che lo aveva portato a lasciare la città del porto per tornare a San Giuseppe Vesuviano. Secondo quanto affermato dall’imputato in udienza, per decenni avrebbe pagato 50 milioni di lire sia ai Piromalli che a Molè. Con l’entrata dell’euro la cifra si sarebbe trasformata in 25mila euro per i Piromalli e 38 dati direttamente a Rocco Molè, che avrebbe chiesto un aumento dell’estorsione. Un fiume di denaro pagato ai due potenti clan della città del porto fino al 2008, quando fu ucciso Rocco Molè.

Da quel momento in avanti, ha dichiarato Annunziata, nessuno è più andato a chiedergli nulla. Una tesi che non ha mai trovato sponda nella ricostruzione della procura antimafia che nella fase d’indagine e per tutto il processo ha continua a sostenere la cointeressenza di interessi tra Annunziata e i Piromalli, una vicinanza di interessi che avrebbe permesso all’imprenditore di poter prosperare economicamente non solo a Gioia Tauro, ma anche in altre parti della Calabria, come per esempio a Vibo Valentia dove ha sede il secondo parco commerciale che porta il suo nome. 

Lo scontro fra i Piromalli e i Molè. Una piccola battuta di arresto si è registrata solo nel 2008, quando anche i Molè – da sempre fedeli alleati dei Piromalli, oltre che legati da rapporti di parentela – avrebbero reclamato la loro fetta di affari pure nel parco commerciale “Annunziata”. Secondo gli inquirenti della Dda di Reggio Calabria sarebbe stato questo il momento più acuto dello scontro tra le due storiche famiglie di ‘ndrangheta di Gioia Tauro. Una frattura profonda, con la scissione definitivamente sancita attraverso l’omicidio, nel febbraio 2006, di Rocco Molè e il trionfo – ancora una volta – dei Piromalli, il casato di ‘ndrangheta più potente dell’intera Calabria.

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