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Due anni e 4 mesi. Questa la condanna confermata dalla Cassazione nei confronti di Roberto Contartese, 57 anni, coinvolto nel procedimento penale nato a seguito dell’inchiesta sul “cimitero degli orrori” di Tropea. La Suprema Corte ha così ritenuto valido il patteggiamento della pena in appello così come prospettato dall’avvocato Giovanni Vecchio che è riuscito a ridurre considerevolmente la condanna rimediata in primo grado con rito abbreviato quando il gup del Tribunale di Vibo Valentia, Barbara Borrelli, aveva deciso per Contartese una pena a 3 anni e 6 mesi di reclusione, più cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. Arrivato l’ordine di esecuzione della pena da parte della Procura di Vibo Valentia, l’avvocato Giovanni Vecchio ha quindi prontamente presentato istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere una delle misure alternative possibili rispetto alla detenzione, come ad esempio l’affidamento in prova. Tale istanza è ancora pendente e, quindi, Roberto Contartese resta attualmente libero e non andrà al momento in carcere. Per Roberto Contartese (in concorso con Francesco e Salvatore Trecate, padre e figlio) ha retto l’accusa di violazione di sepolcro che fa riferimento all’aver “violato le tombe di Clotilde Del Vecchio, Romana Marzano, Salvatore Addolorato, Francesco Toraldo, Maria Garibaldino, Antonio Macrì, Maria Cortese, Vincenzo Giovanni Balso”, più altri due sepolcri di defunti con un cognome non ancora identificati (tali Giuseppe e Vittoria”). Non ha invece retto l’iniziale accusa di associazione a delinquere. L’arco temporale delle contestazioni andava dal febbraio 2019 al 7 febbraio 2021.

Nelle motivazioni con le quali il Tribunale di Vibo Valentia ha condannato in primo grado nell’aprile scorso a 5 anni di reclusione l’ex custode del cimitero di Tropea, Francesco Trecate, ed a 3 anni e 6 mesi il figlio Salvatore Trecate, si legge in ogni caso che si era dinanzi ad un “sistema rodato in cui Trecate Francesco, coadiuvato dal figlio Trecate Salvatore e da Contartese Roberto, procedeva all’estumulazione di salme e alla violazione di sepolcri e in sei casi anche al sezionamento dei cadaveri che venivano distrutti e riposti nei sacchi della spazzatura”. I cadaveri venivano mozzati con un seghetto e le salme distrutte per ricavare i loculi dove seppellire altri defunti. Il Tribunale di Vibo ha anche sottolineato nelle motivazioni della sentenza che Franco Trecate, “coadiuvato dal figlio e da Roberto Contartese, si è spinto anche oltre rispetto alla mera violazione dei sepolcri, arrivando ad estrarre le salme e, dopo averle denudate, ha proceduto a distruggere i cadaveri mediante l’utilizzo di arnesi di ogni genere”. I file video agli atti dell’inchiesta sono per il giudice “talmente chiari ed eloquenti da non lasciare margini di interpretazione. Il capo mozzato della donna, afferrato da Francesco Trecate dalla capigliatura – si legge in sentenza – è stato mostrato come se fosse un trofeo ad alcuni operai di una ditta che in quel frangente impegnati in lavori edilizi nel cimitero”. I resti della donna sezionati e spezzati sono stati riposti in un sacco nero della spazzatura e portati via con una carriola da Roberto Contartese, mentre i Trecate (padre e figlio) “procedevano a scaricare la seconda bara a ad effettuare il sezionamento del cadavere ivi contenuto”.
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