Nulla da fare per la corrispondenza diretta al boss di Filadelfia, Rocco Anello, 64 anni, recluso in regime di carcere duro (articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario) per come deciso dal Ministero della Giustizia. La Cassazione ha infatti respinto, dichiarandolo inammissibile, il ricorso di Rocco Anello avverso la decisione del marzo scorso adottata dal Tribunale di Catanzaro. Per la Suprema Corte, sono da respingere le doglianze relative ad una paventata violazione di legge e ad un vizio di motivazione in relazione ai presupposti del trattenimento, in quanto manifestamente infondate e meramente rivalutative”. Le missive trattenute dall’istituto penitenziario dove è recluso Rocco Anello erano state indirizzate al detenuto dalla moglie, Angela Bartucca, ed erano corredate da rilievi fotografici. L’amministrazione penitenziaria e ora anche la Cassazione hanno ritenuto che dalla disamina delle missive emergono riferimenti “a luoghi, incontri, dati numerici e persone, che, unitariamente considerati, rendono la comunicazione complessivamente equivoca”. L’associazione di tali dati e, segnatamente, la frequente ripetizione di taluni nominativi, unitamente al richiamo a precipui incontri e all’anomala precisazione di dati numerici eccentrici ed eccessivi – per grado di dettaglio – rispetto alle circostanze fattuali che si vorrebbero comunicare, ridondi sul complessivo contenuto comunicativo della corrispondenza che appare potenzialmente allusivo a significati noti e comprensibili al solo destinatario”, Da qui, anche secondo la Suprema Corte, la giustificazione del provvedimento di trattenimento poiché emerge la possibilità che tali missive indirizzate al boss recluso siano suscettibili di “veicolare messaggi relativi al contesto criminale di appartenenza di Rocco Anello”. Ravvisato, quindi, un pericolo in ordine alla veicolazione di messaggi relativi a vicende illecite, idonee a mettere in pericolo la sicurezza e l’ordine pubblico sottesi alla norma di cui all’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario che mira ad interrompere i collegamenti tra il singolo detenuto e l’organizzazione criminale di appartenenza.
Rocco Anello – ritenuto il fondatore dell’omonimo clan di Filadelfia e tra i principali esponenti dell’intera ‘ndrangheta del Vibonese – si trova detenuto in regime di carcere duro dal 2022 ed è stato condannato in primo e secondo grado a 20 anni di reclusione nel processo in abbreviato nato dall’operazione antimafia denominata “Imponimento”. E’ stato invece assolto dall’operazione antidroga denominata “Stammer 2”, a fronte di una richiesta di pena a 10 anni di reclusione, e nel marzo scorso anche nel troncone in abbreviato del maxiprocesso Maestrale-Carthago a fronte di una richiesta di condanna formulata dalla Dda di Catanzaro a 9 anni di reclusione.

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