VIDEO | Prima di entrare, il familiare dell’imprenditrice scomparsa nel 2016 ripercorre un decennio di impegno civile: «Anni vissuti nella ricerca di verità e giustizia, non da solo»
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«Sono dieci anni vissuti nella ricerca di verità e giustizia, non da solo». Queste le parole di Vincenzo Chindamo, ai microfoni di LaC News24, prima di entrare nel Tribunale di Catanzaro, dove è chiamato a testimoniare nel processo per l’omicidio della sorella Maria, l’imprenditrice di Laureana di Borrello scomparsa il 6 maggio 2016.
Un percorso lungo e doloroso, che Chindamo rivendica come collettivo prima ancora che personale: «Il percorso che ho fatto come fratello di Maria e come cittadino di questo territorio è stato insieme a tanti altri». Nelle sue dichiarazioni emerge il senso di una comunità che, partendo dalla tragedia, ha provato a reagire: «Nelle testimonianze di oggi c’è la mia esperienza personale, ci sono tante collaborazioni, tanti aiuti, tanti conforti di un territorio che da questa storia ha voluto rinascere e riscattarsi».
Per Vincenzo Chindamo, la vicenda della sorella è diventata anche il simbolo di una battaglia più ampia: «Per una popolazione calabrese che ne ha necessità, per un territorio che cerca libertà». Alla domanda su cosa rappresenti l’udienza di oggi, risponde senza enfasi ma con determinazione: «È l’inizio di una continuazione di un percorso».
Un cammino che ha richiesto tempo, pazienza e fiducia nelle istituzioni. «Sono tanti i contributi che in questi anni ci sono stati con la Procura di Vibo Valentia e con la Procura di Catanzaro, che ringrazio. Contributi importanti nella ricerca di verità, di giustizia e di un dovere verso Maria». Un dovere che, secondo il fratello, è anche «contro quell’ambiente patriarcale, violento e mafioso che rallenta lo sviluppo sociale di questa terra».
Alla richiesta di indicare una tappa più significativa di altre, Chindamo non fa distinzioni: «No, sono tutte ugualmente importanti». Poi, prima di varcare l’ingresso del Tribunale, affida un pensiero intimo e simbolico alla memoria della sorella: «Oggi ricordo il sorriso di Maria, entro con lei».
Il processo riguarda la scomparsa di Maria Chindamo, avvenuta a Limbadi nel 2016. Unico imputato è Salvatore Ascone, accusato di concorso in omicidio: secondo l’accusa avrebbe manomesso il sistema di videosorveglianza della sua proprietà, situata di fronte al cancello dove vennero ritrovate l’auto dell’imprenditrice ancora accesa e tracce di sangue. Un procedimento che, a distanza di anni, continua a rappresentare una ferita aperta e una prova cruciale per la ricerca di giustizia.


