venerdì,Aprile 19 2024

Pizzo, l’artista della ceramica che dà vita a miti e leggende marinare

Pittore e storico, Antonio Montesanti nella sua bottega nel centro storico del paese, dà forma ad opere ispirate al mare e alla storia locale, divenendo il cantore di un’intera comunità

Pizzo, l’artista della ceramica che dà vita a miti e leggende marinare

Sugli scaffali di una bottega del centro storico di Pizzo, c’è un intero paese. Una comunità di lares, folletti, personaggi mitici e reali. Il pescatore e la venditrice di uova, il giornalaio e il vecchio saggio, ù gnùri e la pettegola, ù barbéri e il farmacista. Una varia umanità ritratta fedelmente nell’atteggiamento che l’ha proiettata al centro del microcosmo pizzitano, e che, laddove passata a miglior vita, è ancora presente nella memoria collettiva della comunità. Solo un attento osservatore poteva ritrarla con tanta fedeltà: solo un innamorato poteva riprodurre questa sorta di presepe laico con tale empatia, e solo un artista, quale Antonio Montesanti deve essere considerato, poteva inserire questo paesaggio umano d’argilla e sentimenti accanto a terracotte, quadri e oggetti marinari. Il suo scaffale nel centro del paese ospita un paesaggio ideale e reale, naïve e antropologico, etnico e borghigiano. 

Il borgo marinaro. Del resto, siamo in una delle poche città marinare della Calabria, paese di pescatori, tonnaroti, marinai e gelatai. All’ombra del castello di Murat, un murales raffigurante un cuore, con aggrappato un buffo personaggio vagamente picassiano, indica la prossimità della bottega d’un artista artigiano. Un mastro pittore, che nasconde uno storico delle tradizioni locali, che nasconde un cacciatore di storie, che nasconde un uomo di mare, che nasconde uno scrittore. Il talento di Antonio è questo: una matrioska creativa, che racconta, crea, plasma, inforna, dipinge e pensa già alla prossima tradizione da riprodurre, simbolicamente, salvandola  così dall’oblio. 

La passione vera. «Ho iniziato a dipingere da piccolissimo – racconta-. Mio padre lavorava al cementificio di Vibo Marina. Io vivevo con altri cinque fratelli, stavamo nelle case per i lavoratori. Ricordo i più grandi, che dipingevano nel garage: avevamo la passione della pittura. Una passione vera». E ancora: «ci sono cose, dentro di noi, che vengono da un mondo e da un tempo altro: sono nella nostra memoria genetica, e li rimangono. La nostra eredità ci è stata trasmessa dal nonno, uno stuccatore che lavorava nelle chiese. È lui che ci ha passato l’arte». Un talento che, per farsi strada, ha dovuto attendere

Dal diletto al mestiere. «All’inizio, non mi sono dedicato subito al mestiere creativo. In realtà, sono stato silente fino a 10 anni fa. Facevo il ragioniere, poi il grafico, occupandomi anche di siti internet, ed unendo così le passioni per il design, e quella per l’informatica – prosegue Montesanti -. Certo, dipingevo, facevo mostre, ma da appassionato. Finché un giorno, un regalo di matrimonio, un tornio per la ceramica, ha finito con l’assorbirmi totalmente: le opere del ceramista e pittore siciliano De Simone, che riproduceva nei suoi disegni le tradizioni della sua terra, mi avevano indicato una via importante. E su quella scia, ho iniziato a coniugare l’immensa passione per il mare e le sue tradizioni, con l’urgenza creativa. Il risultato è tutto nei miei lavori, che da allora assorbono il mio tempo, e sono divenuti la mia unica attività». 

Il mare, le origini, i tesori. «Il coinvolgimento emotivo è totale. Nell’opera, metto tutto il mio mondo: e quindi, la marineria. Il mare è casa, amore, passione, origini – specifica-. Penso alle ricchezze, ai tesori del golfo di Lamezia, al Castello di Bivona, alle tradizioni di Vibo Marina. Un posto unico, che parla di tesori da difendere, da tutelare. Tento di fissare elementi di folklore altrimenti destinati a perdersi, cerco testimonianze scomparse, o quasi, dalla memoria di una terra che fa della rimozione identitaria una facile scappatoia dalle responsabilità. Una responsabilità a mantenere e custodire, che l’artista è ben lieto di assumersi. Non fosse altro, per vocazione. Ho sempre fatto parte di associazioni ambientaliste. Ho cercato di animare iniziative di difesa e tutela del territorio, delle aree archeologiche, della costa». 

Compito dell’artista? Sociale e civile. Forte la vocazione educativa. «Credo che l’arte abbia anche il compito di educare la gente, e possa servire per raccontare e salvaguardare le nostre tradizioni, il nostro patrimonio. Anche per questo, quando creo un’opera, inserisco anche una traccia scritta. Un rimando alla tradizione orale, che segna il percorso a ritroso per risalire alla fonte della tradizione narrata – specifica -. Uno dei miei topos archetipici è la tonnara. Le reti, lo sforzo dei pescatori, le barche tra le onde, le fiocine. Cerco di riprodurre movimenti e senso del tempo, inserendo le nenie, le frasi rituali, le canzoni, tutto quello che nel nostro epos marinaresco richiamava quella determinata situazione». 

Il fare e il sapere. Montesanti unisce la sapienza del gesto, l’arte del fare, alla conoscenza delle tradizioni. Suoi, tre dei volumi più interessanti, negli ultimi anni, pubblicati in zona, indispensabili per conoscere la storia delle Marinate: La Tonnara di Bivona, Tra mare e Terra, La storia del porto moderno. I saggi, usciti per tipi diversi, ad iniziare da Rubbettino, costituiscono la base di riferimento dell’artista. La radice che aggiunge spessore al naïve apparentemente solare delle sue opere, solari in superfice, complesse nel profondo.

Pizzo, il paese ritrovato. Forse per questo, i suoi estimatori più entusiasti sono spesso dei bambini. I laboratori scolastici che conduce, occasione per toccare con mano la riproduzione fantastica e colorata delle tradizioni. Per insegnare con il colore e l’argilla. Concretamente, ma con poesia.

Da qualche anno, il ceramista pittore da Vibo si è spostato a Pizzo. E questa città lo ha accolto sin da subito, riconoscendolo come suo cantore. «Oggi le persone mi portano gli oggetti legati alla vecchia tradizione del mare, caduti in disuso, trovati, scartati, ma comunque a loro cari, che vogliono veder tornare a nuova vita nelle mie opere – confida -. Dal vecchio conso al timone, dal remo alla fiocina. Tutto si ricongiunge alla sua funzione originaria nell’opera che nasce intorno all’oggetto, e che a questo si ispira».

Ed infine, tornando al progetto “i Pizzitani”, ormai famoso: il riprodurre decine e decine di statuine con le fattezze dei personaggi celebri della comunità pizzitana lo ha definitivamente legato a questa città. Tutti si sono prestati di buon grado a farsi riprodurre. «Non c’è niente di più emozionante del vedere un paesano guardare la sua effige, e sorridere nel farsi fotografare. Nella bottega, che ospita anche altre eccellenze calabresi, c’è un intero paese» conclude. Gente di ieri e di oggi, ritratti dal vivo, o riprodotti da una vecchia fotografia, tutti insieme sugli scaffali. Una comunità viva, che parla di vita e di amore per il mare.

 

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