venerdì,Aprile 26 2024

Psc a Vibo: l’avvocato Colaci replica all’assessore Scalamogna

Il legale spiega le ragioni per le quali l’attuazione dello strumento urbanistico nelle Marinate rimarrà in mezzo al guado per decenni

Psc a Vibo: l’avvocato Colaci replica all’assessore Scalamogna

Replica dell’avvocato Domenico Colaci alle considerazioni dell’assessore all’Urbanistica del Comune di Vibo, Pasquale Scalamogna.

Ho letto la risposta che l’assessore Scalamogna ha dato alla mia riflessione su Il Vibonese sulla recente approvazione del Psc. Contrariamente a lui, non sono rimasto sconcertato per l’arroganza dei toni e per i termini offensivi che ha usato (eppure ne avrei motivo). Mi si è rivolto definendomi “delatore” e “soggetto”. Dall’alto della consapevolezza della mia serenità intellettuale – afferma l’avvocato Colaci – comprendo pietosamente il suo sfogo. Chi non sa reggere un confronto dialettico con validi argomenti retorici, scade automaticamente nell’insulto. È una immarcescibile legge di natura che segna le distanze e le differenze di spessore tra gli uomini. Sono comunque certamente un “delatore”, se la mia “delazione” è servita a far aprire gli occhi ai cittadini delle c.d. Marinate, buggerati da uno strumento urbanistico la cui attuazione rimarrà in mezzo al guado per decenni.

Confesso altresì di essere un “soggetto”, che notoriamente ha una funzione principale rispetto al predicato ed al complemento oggetto. Il mio novello censore ha voluto rimarcare la sua diversità rispetto a me. Quindi, o è un predicato o un complemento: tertium non datur. Ma vengo al merito delle questioni. L’assessore ha elencato una serie di attività svolte dall’attuale e dalle passate compagini amministrative, senza spiegare ai cittadini quali sono i reali effetti di questo nuovo Piano. Personalmente conosco la differenza tra Piano Regolatore Generale e Piano Strutturale Comunale, così come conosco la disciplina e la funzione del Piano Operativo Temporale e dei Piani Attuativi Unitari. Non ho bisogno di lezioni al riguardo. Ma l’interlocutore non sono io. Gli interlocutori sono i cittadini, verso i quali chiunque ricopre una carica pubblica ha l’ineludibile obbligo di garantire la piena trasparenza e conoscibilità degli atti amministrativi. La risposta che ho ricevuto è stata volutamente e strumentalmente incomprensibile. Di contro, io voglio insistere e porre alcune domande, cercando di formularle con parole semplici. Perché nella tavola 1 del piano approvato su tutta l’area delle cd. marinate risulta posizionato un reticolo ad esagoni di colore rosso, che significa “Territorio difficilmente trasformabile per gravi limitazioni della condizione idrogeomorfologica”? Gli elaborati di piano dimostrano che la scelta del Consiglio comunale è ricaduta sulla necessità di cristallizzare questi preesistenti vincoli nella speranza di un loro futuro superamento. Chi amministra la nostra città ha considerato questa la strada più comoda. [Continua]

Ma per i cittadini è davvero così? Chiunque proverà a chiedere il rilascio di un permesso di costruire a Vibo Marina o a Bivona vorrà sapere il motivo per il quale i nostri solerti e bravi amministratori non si sono posti il problema di approvare il PSC solo dopo aver eliminato queste “gravi limitazioni della condizione idrogeomorfologica”. È vero che l’area del Pennello è stata classificata come ambito territoriale unitario prevalentemente orientato al recupero della città costruita illegalmente. Ma il Piano di recupero di quest’area, previsto dall’art. 54 del regolamento urbanistico, sarà realmente fattibile finché permarranno le limitazioni sopra citate?

L’assessore all’Urbanistica Pasquale Scalamogna

L’assessore avrebbe dovuto chiarire bene questi aspetti, prendendo impegni precisi anche con riguardo al tempo di soluzione delle problematiche e promettendo le sue dimissioni in caso di mancato rispetto. Forse questa è utopia. Tuttavia, l’etica della responsabilità avrebbe imposto questo comportamento. Personalmente lo avrei apprezzato molto, così come avrei gradito una risposta schietta e sincera con riguardo alla questione della Meridionale Petroli e di Via Vespucci.

In questo caso la Tavola 1 del piano approvato riporta un reticolo a quadratini gialli, stando al quale l’area è inserita in un ambito attuativo unitario orientato prevalentemente al completamento della città produttiva e commerciale. Inoltre, la stessa tavola riporta un simbolo (un quadratino con gli angoli interni cerchiati), che determina la destinazione dell’area stessa ad una più specifica funzione riferita ai servizi portuali esistenti o di previsione. Non vedo dunque la possibilità di dare spazio ad attività funzionali al turismo. Infine, sempre la citata Tavola 1 riporta su tutta la zona un ulteriore reticolo a triangoli rossi, che vuol dire “aree occupate da industrie a rischio di incidente rilevante ed ambientale”, nelle quali, ai sensi dell’art. 27, comma 7, ultimo periodo, del regolamento urbanistico, “entro le linee di danno non sono possibili attività configurabili a elevato affollamento o ricettività”.

La traduzione in termini pratici di quest’ultima previsione normativa è: cittadini abbiate pazienza, forse dovremo chiudere i lidi e la spiaggia. Ecco perché nel mio precedente intervento ho sottolineato che sarebbe stato opportuno sull’argomento un serio ed approfondito dibattito in seno al Consiglio comunale. Questa mia opinione non è però piaciuta. Sono diventato un pericoloso “delatore”; uno che ha cercato di far capire qualcosa e chi doveva rimanere all’oscuro. E subito è scattato il linciaggio. Viva la democrazia. Certo l’assessore spera che la questione venga risolta dal comitato tecnico regionale di cui all’art. 10 del D. Lgs. n. 105/2015 mediante l’approvazione del piano di emergenza presentato dalla Meridionale Petroli. Ritengo però che questa soluzione, seppur arrivasse, sarebbe temporanea.

La verità è ben altra: un buon amministratore – conclude l’avvocato Colaci – anzichè sentirsi offeso, avrebbe lottato per garantire la destinazione dell’area secondo la sua naturale vocazione turistica e ricreativa, programmando il trasferimento in altri siti dell’attività pericolosa”.

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