giovedì,Maggio 23 2024

La burocrazia del Comune di Vibo causa danni alle imprese e viene bocciata dai giudici

Accolti dal Consiglio di Stato i ricorsi di diverse imprese proprietarie di impianti pubblicitari che nel frattempo i dirigenti comunali si erano affrettati ad abbattere. Ed ora chi paga?

La burocrazia del Comune di Vibo causa danni alle imprese e viene bocciata dai giudici
Il Comune di Vibo Valentia
La rimozione degli arredi urbani

Pubblica amministrazione contro le imprese a Vibo Valentia. Da caso che doveva restare confinato nell’ambito tecnico-giuridico ad esempio di cattivo modus operandi della pubblica amministrazione. Dopo un “tira e molla” durato anni con ordinanze di demolizione emesse dal Comune di Vibo per abbattere diversi impianti pubblicitari presenti sul territorio comunale, il Consiglio di Stato – su ricorso delle società Pubbliemme srl, Ige Comunicazioni e Affitalia Outdoor srl – ha stabilito che non occorre alcun permesso a costruire per l’installazione degli impianti pubblicitari. L’intera materia è infatti regolata da una disciplina speciale, e completa, del Codice della strada del 1993 e dai regolamenti comunali che prescrivono la sola autorizzazione da parte del Comune. I giudici amministrativi, quindi, riformando in toto le decisioni assunte dal Tar di Catanzaro, hanno dato ragione ai ricorrenti annullando le ordinanze emesse nel 2011 e in epoca successiva dal Comune di Vibo Valentia (dirigenti Demetrio Beatino e Filippo Nesci) con le quali era stata disposta la demolizione degli impianti pubblicitari. 

La pubblica amministrazione “ammazza-imprese”

Le sentenze hanno avuto importanti ripercussioni a livello nazionale, ribaltando anche precedenti pronunce di segno contrario in materia affermando alcuni principi di diritto. Secondo i giudici amministrativi di secondo grado, infatti, prescrivere in aggiunta all’autorizzazione di settore anche il rilascio del permesso a costruire si tradurrebbe in una duplicazione del sistema autorizzatorio che risulterebbe sproporzionata – ha spiegato il Consiglio di Stato – perché non giustificata dall’esigenza, già salvaguardata in base alla disciplina speciale (art. 3 d.lgs. n. 507 del 1993), di tutelare l’interesse al corretto assetto del territorio.

Gli interessi legati all’assetto urbanistico, pertanto, per il Consiglio di Stato vanno perseguiti dai Comuni non attraverso la duplicazione dei titoli autorizzatori, ma nel rispetto del principio di semplificazione all’interno del procedimento di rilascio dell’autorizzazione prevista dal Codice della strada, con la conseguenza che quest’ultima autorizzazione dovrà essere negata solo nel caso in cui l’installazione risulti incompatibile con le esigenze urbanistico-edilizie. 
Del resto, il Consiglio di Stato ha pure ricordato che già il Codice dei beni culturali e del paesaggio ha sottratto i cartelli pubblicitari alla disciplina generale prevista per le costruzioni e per le opere in genere (non equiparando quindi l’installazione di un semplice impianto pubblicitario, anche di grandi dimensioni, alla costruzione di una casa o un palazzo).
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