La donna vibonese racconta come ha affrontato il cancro costretta ad esigere cure e attenzioni dal sistema sanitario locale: «Non mi potevano neppure operare per mancanza di anestesisti». L’appello ignorato da Occhiuto e Asp: «Mai una risposta»
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Una storia di malattia, di maternità vissuta a distanza, ma anche di resistenza e dignità. È il racconto di Katia Coloca, giovane madre di Vibo Valentia, paziente oncologica, che nei mesi scorsi aveva lanciato un appello pubblico al presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto, nella sua veste di commissario ad acta della sanità, per chiedere aiuto. L’abbiamo raggiunta nella sua casa di Jonadi, dove oggi prova a ricostruire una quotidianità segnata da una lunga battaglia contro il cancro e da un’altra lotta, altrettanto dura: quella con un sistema sanitario che spesso non riesce a garantire il diritto alle cure.
«Non potevano operarmi: mancavano persino gli anestesisti»
Katia racconta il momento in cui, seguita dal dottor Alberto Ventrice, si è vista costretta a fermarsi: «Avevo la necessità di fare un intervento, ma lui, con grande dispiacere, mi ha detto che non poteva operarmi perché non aveva nemmeno gli anestesisti a disposizione». Una frase che segna l’inizio di un nuovo calvario.
Ventrice è l’urologo dell’ospedale di Tropea che recentemente si è dimesso in polemica con l’Asp proprio a causa della mancanza di anestesisti. Una situazione che ha determinato l’interruzione di fatto degli interventi chirurgici e la sostanziale “chiusura” del reparto di Urologia del nosocomio tropeano, che serve l’intera provincia vibonese.
«Mi sono ritrovata in difficoltà – spiega – ho provato anche privatamente, ma non mi sono trovata bene. Così ho tentato di tornare a Cosenza, dove ricordavo procedure diverse». Ma anche lì le porte si sono chiuse: «Dopo una giornata in pronto soccorso mi hanno detto che non c’era posto per il ricovero».
L’appello al presidente Occhiuto
È in quel momento che Katia decide di chiedere aiuto pubblicamente, rivolgendosi direttamente al presidente della Regione: «L’appello era per lui, per avere una mano dal nostro presidente». Un messaggio affidato prima ai social, poi ripreso da alcune testate giornalistiche.
Una risposta, però, non è mai arrivata. «No, purtroppo non ho ottenuto nessuna risposta – dice – ma oggi non la vorrei nemmeno più per me. La risposta dovrebbe darla a tutti i calabresi. Io rappresento tante persone che stanno male e vengono abbandonate».
«Ho avuto un carcinoma al quarto stadio»
Parlare della malattia non è facile. «È ancora una ferita aperta», confessa. Katia ha iniziato a lottare nel 2021, quando le è stato diagnosticato un carcinoma al quarto stadio. «Oggi c’è assenza di malattia, grazie a Dio. Faccio solo una terapia preventiva, ma ho dovuto lottare tanto. Non pensavo di dover combattere anche con le istituzioni per ottenere quello che dovrebbe essere un diritto: potersi curare».
Le figlie «cresciute troppo in fretta»
Nel suo appello Katia aveva parlato anche delle sue bambine. «Sono cresciute troppo in fretta – racconta – perché io ero più in ospedale che a casa. Erano piccole e si sono ritrovate senza la mamma per molto tempo». Oggi può dire di aver sconfitto il tumore, ma il peso di quegli anni resta. «Spero non torni più», aggiunge con cautela.
«Perché non possiamo curarci in Calabria?»
Se avesse davanti il presidente Occhiuto, Katia non chiederebbe nulla di diverso da quanto già detto: «Perché non possiamo curarci in Calabria? Perché i pochi medici che vogliono lavorare e operare sono costretti a dimettersi? Il dottor Ventrice si è dimesso perché non poteva curare i pazienti. Che senso ha fare visite se poi non si può agire per guarire le persone?».
Il silenzio delle istituzioni
Nel suo racconto c’è spazio anche per l’amarezza verso le istituzioni locali: «Non ho avuto vicinanza dal sindaco, da alcuni politici, né dal commissario dell’Asp». Diverso il ricordo di qualche anno fa, quando, grazie all’avvocata Daniela Primerano e a un comitato civico, riuscì a ottenere aiuto: «Il commissario Battistini si mise subito a disposizione e mi fece fare visite urgenti. Cose che oggi non sono accadute».
La scelta di restare in Calabria
In una regione da cui molti sono costretti a emigrare per curarsi, Katia ha scelto di restare. «Ho girato vari ospedali calabresi, poi mi sono fermata a quello di Catanzaro. Lì ho trovato oncologi e infermiere straordinari». Ricorda in particolare la dottoressa Francesca Caglioti e la dottoressa Fabiola Rizzuto: «Non mi lasciavano mai, né di giorno né di notte. Gli orari non contavano. In Calabria ci sono bravi medici, io sono la prova vivente che esistono, ma spesso non hanno gli strumenti per lavorare ed assistere al meglio i pazienti. Ho sofferto troppo e so cosa significa. Non vorrei che nessuno passasse quello che ho passato io».



