giovedì,Marzo 28 2024

‘Ndrangheta: cade a Roma l’accusa per il boss Saverio Razionale e altri nove imputati

L’inchiesta della Dda di Roma mirava a far luce sui beni del capo del clan di San Gregorio d’Ippona. Coinvolti pure un ex commerciante vibonese, un commercialista ed un avvocato

‘Ndrangheta: cade a Roma l’accusa per il boss Saverio Razionale e altri nove imputati

Nove assoluzioni ed un luogo a procedere. Questa la decisione del gup distrettuale di Roma, al termine del processo celebrato con rito abbreviato per la vicenda dei beni del boss di San Gregorio d’Ippona, Saverio Razionale, di “casa” nella capitale. Concorso in intestazione fittizia di beni aggravati dalle finalità mafiose l’accusa dalla quale, al temrine del processo con rito abbreviato, sono stati assolti: Saverio Razionale, 57 anni, di San Gregorio d’Ippona; Alberto Caporaso, 53 anni, commercialista e consulente del lavoro, di Vibo Valentia; Vincenzo Isola, 45 anni, di Vibo Valentia; Alfonso Storaci, 38 anni, di Vibo Valentia; Antonino La Bella, 38 anni, di Piscopio; Giuseppe Scriva, 58 anni, detto “Pepè”, commerciante di Vibo Valentia; Alessandra Scriva, 31 anni, di Vibo Valentia, figlia di Giuseppe; Francescantonio Primerano, 56 anni, di Soriano Calabro; Aldo Currà, 60 anni, avvocato, nativo di Jonadi ma residente a Soriano Calabro.

Non luogo a procedere per Claudio Pepi, 64 anni, nativo di Niscemi (Cl), ma residente a Roma. La stessa Dda di Roma aveva chiesto l’assoluzione. L’inchiesta, denominata “Talea”, rappresentava una “costola” dell’operazione “Rima” contro il clan Fiarè-Gasparro-Razionale di San Gregorio d’Ippona. L’accusa non ha però fornito prova dell’operatività attuale del clan e la riconducibilità dei beni a Saverio Razionale e da qui le assoluzioni.

Le singole accuse. Saverio Razionale, Alberto Caporaso, Vincenzo Isola e Alfonso Storaci erano indagati per l’intestazione fittizia delle quote sociali della “Edil Consul Services srl” con sede a Roma ed attiva nel settore dell’edilizia. Razionale e Caporaso erano accusati di essere stati i titolari di fatto della società, attribuita dal luglio 2004 all’agosto 2009 all’amministratore e socio unico Vincenzo Isola e poi ad Alfonso Storaci, amministratore e socio unico dal 2009 ad oggi. Il tutto, secondo la Dda di Roma, al fine di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniali, essendo Saverio Razionale – all’epoca già condannato in primo grado per associazione mafiosa nel processo “Rima” celebrato a Catanzaro – sottoposto alla misura di prevenzione personale. Il reato era aggravato dalle finalità mafiose, con l’agevolazione del clan Fiarè di San Gregorio d’Ippona di cui Razionale è ritenuto da sempre il “numero 2” dopo il boss Rosario Fiarè.

Razionale, Caporaso, Isola e Storaci rispondevano poi dello stesso reato (intestazione fittizia di beni aggravata dalle finalità mafiose) anche in relazione alle quote sociali della “Roma Services srl”, società attiva nell’edilizia, i cui utili sarebbero stati acquisiti annualmente da Razionale e Caporaso.

Sempre Razionale, questa volta unitamente ad Antonino La Bella, era accusato di intestazione fittizia di due fabbricati a Roma siti in via Aurelia e che per la Dda solo formalmente risultavano intestati a La Bella (che nelle scorse settimane, difeso dall’avvocato Francesco Stilo e dall’avvocato Gianni Puteri, era però riuscito a dimostrare la titolarità dei beni dinanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro). Razionale avrebbe inoltre attribuito nel 2008 a Caporaso la titolarità di un lotto di terreno di duemila metri quadri nel comune di Ardea, in provincia di Roma.

Il reato di falso veniva quindi ipotizzato nei confronti di Saverio Razionale, Alberto Caporaso e Vincenzo Isola, tutti accusati di aver falsamente attestato che Razionale risultava assunto come dipendente della “Edil Consul Services” a far data dal 5 luglio 2005, inducendo in tal modo in errore il Giudice di Pace di Roma che disponeva la restituzione della patente di guida a Razionale, precedentemente sospesa per la misura di prevenzione personale disposta dal Tribunale di Vibo Valentia.

Giuseppe Scriva e la figlia Alessandra erano invece accusati di intestazione fittizia di beni in quanto, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, Giuseppe Scriva avrebbe attribuito nel 2008 alla figlia la titolarità di un immobile sito a Roma in via Aurelia Antica, del valore di 378mila euro. Importo corrisposto in contanti per 168mila euro, stipulando poi un mutuo per 210mila euro, e producendo a tal fine buste paga e dichiarazioni fiscali che – secondo l’iniziale ipotesi accusatoria non condivisa dal gup – avrebbero falsamente attestato l’assunzione della ragazza nella società “Edil Consul Services”.

Estorsione era infine il reato ipotizzato nei confronti di Alberto Caporaso e Claudio Pepi, avendo i due costretto un imprenditore – secondo la Dda di Roma – a consegnare a Pepi una Bmw.

L’avvocato Aldo Currà, Alberto Caporaso, Saverio Razionale e Francescantonio Primerano erano quindi accusati di concorso in estorsione ai danni del titolare della Bmw e dei figli di quest’ultimo che avrebbero ceduto ai vibonesi le quote societarie del bar “Caffè Fiume srl” di Roma con un trasferimento alla “Nuovo Caffè Fiume srl” intestata ad Alberto Caporaso ed avente quali soci Francescantonio Primerano e Aldo Currà. Il prezzo, secondo la ricostruzione degli inquirenti, sarebbe stato di 648mila euro. Il reato era aggravato dalle finalità mafiose di aver agevolato il clan Fiarè-Razionale.

Infine, Razionale, Caporaso, Isola e Storaci erano accusati dell’intestazione fittizia di parte delle quote sociali della “Roma Services srl”. Reato anche questo aggravato dalle finalità mafiose.

Nel collegio di difesa figurano gli avvocati: Francesco Stilo, Paola Stilo, Francesco Muzzopappa, Emanuela Falasca, Antonio Porcelli, Gaspare Latronico, Francesco De Luca, Umberto Graziani, Francesco Sorrentino e Giovambattista Puteri.

Saverio Razionale è stato condannato con sentenza definitiva per associazione mafiosa al termine del processo in abbreviato scaturito dall’operazione antimafia della Dda di Catanzaro denominata “Rima”, risalente al luglio 2005. Viene ritenuto il “numero due” della cosca Fiarè di San Gregorio d’Ippona guidata dal boss Rosario Fiarè. Razionale viene collocato al vertice del clan sin dagli anni ’80, dopo l’attentato in cui perse la vita il precedente capo della cosca Giuseppe Gasparro, detto “Pino U gattu”, zio di Razionale il quale nello stesso agguato rimase a sua volta ferito. Altro agguato è stato compiuto ai danni di Razionale a metà anni ’90 mentre si trovava a Briatico. Per tale fatto di sangue era stato tirato in ballo il boss Giuseppe Mancuso (cl. ’49) di Limbadi quale mandante, ma le risultanze investigative non hanno mai portato ad alcuna accusa specifica.

Nella Capitale Saverio Razionale sarebbe riuscito a creare una rete criminale specializzata nel reinvestimento dei proventi illeciti e nell’infiltrazione degli appalti pubblici. L’accusa non ha però dato prova dell’operatività del clan dopo la sentenza “Rima” e da qui le assoluzioni. Soddisfazione per la sentenza è stata espressa all’esito della decisione del giudice da parte dell’avvocato Francesco Stilo per il quale “le argomentazioni portate dalla difesa di Saverio Razionale sono riuscite a demolire l’impianto accusatorio ed a convincere il giudice ad emettere sentenza assolutoria”.

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