sabato,Aprile 20 2024

Dall’omicidio Fiamingo a Peppone Accorinti: l’avvocato Garisto controesamina il pentito Arena

Maxiprocesso Rinascita Scott, il collaboratore di giustizia racconta la notte di sangue a Spilinga, il ruolo di Antonio Cuppari e la sua conoscenza con il boss di Zungri

Dall’omicidio Fiamingo a Peppone Accorinti: l’avvocato Garisto controesamina il pentito Arena
L'avvocato Daniela Garisto nell'aula bunker
Raffaele Fiamingo

L’omicidio di Lele Fiamingo detto il Vichingo, ex boss del Poro, consumato il 9 luglio del 2003 a Spilinga, che – procurando il grave ferimento di Francesco Mancuso detto Tabacco – portò il locale ’ndranghetista di Limbadi sull’orlo di una faida interna. Poi il ruolo di Antonio Cuppari, il capo del locale di Spilinga e «responsabile della Provincia di Vibo», coinvolto nel maxiprocesso Crimine. Parte da qui il controesame dell’avvocato Daniela Garisto, difensore di Giuseppe Antonio Accorinti alias Peppone, presunto sanguinario boss di Zungri, tra i principali imputati del maxiprocesso Rinascita Scott, al collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena. [Continua in basso]

Giuseppe Accorinti

Nel corso dell’esame condotto dai pubblici ministeri della Dda di Catanzaro, Arena aveva spiegato come dopo l’omicidio Fiamingo, Giuseppe Accorinti – che della vittima era ritenuto un sodale – divenne il boss indiscusso dell’intero comprensorio del Poro. L’avvocato Garisto, con le sue domande, prova a scalfire il narrato del superteste. L’origine dell’agguato consumato a Spilinga avrebbe avuto il suo movente in un tentativo di estorsione «consumato – sostiene il pentito – da Fiamingo e Francesco Mancuso nei confronti di un panificio di proprietà di un parente di Antonio Prenesti, a sua volta sodale del clan Mancuso, in particolare di Cosmo Mancuso e Pantaleone detto Scarpuni». La penalista, tra le pieghe delle sue domande, lascia intendere come non fosse possibile che un tentativo di estorsione e un agguato nel territorio di Spilinga si consumassero senza che il «capo del locale e della Provincia», ovvero Antonio Cuppari, fosse stato posto preventivamente a conoscenza. Le domande («perché nocive») vengono puntualmente arginate dalle opposizioni del pm Anna Maria Frustaci.

Antonio Cuppari

In seguito al tentativo di estorsione al panificio – sintetizza Arena sulla scorta delle conoscenze maturate nel suo ambiente criminale – «Cosmo Mancuso autorizzò Prenesti, unitamente a Domenico Polito, a sparare contro Fiamingo e lo stesso Francesco Mancuso, a sua volta nipote di Cosmo. Il ruolo di Cuppari in tutta questa storia – replica Arena al difensore – io non lo conosco. Se Cuppari però avesse notato qualcosa che disconoscesse il suo ruolo in questo agguato avrebbe dovuto notiziare a Polsi. Ma, ripeto, non conosco il ruolo di Cuppari in questa vicenda. Polsi, se aveva bisogno di notizie su Vibo, si rapportava a Cuppari che, a sua volta, si rivolgeva ai responsabili dei locali a loro volta riconosciuti a Polsi». Antonio Cuppari di Panaia (frazione di Spilinga), deceduto, è stato condannato nel processo “Crimine” (Dda di Reggio Calabria) ma non come capo del locale di ‘ndrangheta di Spilinga o della Provincia di Vibo, bensì come vertice del clan dei Piscopisani (un ruolo, quest’ultimo, successivamente disconosciuto dai collaboratori di giustizia). [Continua in basso]

Domenico Macrì

Ancora Arena: «Vidi Accorinti la prima volta nel 1998 nel carcere di Vibo. Io ero al terzo piano e lui al primo. L’ho visto solo una volta, di rientro da un colloquio. Non mi sono presentato ma sapevo chi fosse. Negli anni successivi l’ho anche frequentato. Tra il 2012 e il 2013 sono stato pure a casa sua, assieme a Salvatore Furlano». Chiede l’avvocato: «Sa indicare dove abita?». La replica del collaboratore: «Mi faccia vedere una piantina di Zungri che gliela mostro». Più recentemente Arena lo avrebbe incontrato a Vibo, a casa di Domenico Macrì detto Mommo, in seguito ad uno scontro tra il vibonese Domenico Tomaino e Domenico Cichello, fiduciario di Accorinti. In una ulteriore circostanza lo avrebbe incontrato «dall’avvocato Stilo». Più avanti: «Negli ultimi periodi Mommo Macrì, che prima aveva un rapporto strettissimo con Leone Soriano, dopo l’operazione Nemea si legò Accorinti, col quale era stato in carcere insieme, tramite Saverio Razionale».

Francesco Antonio Pardea

L’avvocato Garisto, più avanti, scandaglia le ragioni dell’avvio del percorso collaborativo con la giustizia dello stesso Arena, con particolare riferimento agli attriti che negli ultimi tempi si erano generati con altri esponenti del suo gruppo, in particolare con «Francesco Antonio Pardea, a cui volevo bene come un fratello. Sparlavano di me. E non ne capivo il motivo. La mente umana a volte è difficile da capire». Arena ricostruisce tutta una serie di episodi che, riferitigli da altri, ed in particolare «da Filippo Di Miceli», lo avrebbero visto via via sempre più delegittimato e messo in pericolo, come la diffusione della notizia dei suoi propositi di vendetta contro Giuseppe Mancuso alias ’Mbrogghjia, che Arena considera il principale responsabile dell’uccisione di suo padre: «Fatti che bastarono per farmi capire che i miei amici erano prossimi al tradimento, sempre che non mi avessero già tradito».

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