A Carmagnola e dintorni comandava lui, e non da ieri. Salvatore detto Turi Arone, 60 anni, viene ritenuto dagli inquirenti la mente del clan Bonavota di Sant’Onofrio che è storicamente radicato in Piemonte. Secondo la Dda di Torino, che ha portato a termine l’operazione “Carminius”, Salvatore Arone sarebbe stato al vertice del locale di ‘ndrangheta di Carmagnola che da quelle parti gestiva affari illeciti anche per i calabresi. Una presunta associazione mafiosa attiva «da decenni». A consolidare la tesi della magistratura antimafia di Torino, anche le numerose dichiarazioni dei pentiti che convergono nell’individuare “Turi” Arone e il fratello Francesco – a lui subordinato e con ruoli «maggiormente operativi» – come «vertice assoluto della ‘ndrina Bonavota sul territorio piemontese». Uno dei collaboratori vibonesi (originario di Maierato, trasferitosi poi in Piemonte), Francesco Costantino, racconta un piccolo ma emblematico episodio: «Francesco Arone fa le veci del fratello Salvatore negli affari illeciti tant’è che Antonino De Fina, in un’occasione, alla mia presenza, dovette rendergli conto dell’apertura di un locale pubblico per avere la sua autorizzazione».
Per dimostrare l’intraneità e l’attualità della posizione di Salvatore Arone nella ‘ndrangheta, il gip nell’ordinanza “Carminius” richiama quindi una sentenza del 1996 emessa dal Tribunale di Vibo Valentia, «nella quale si faceva riferimento ad un summit mafioso tenuto a San Gregorio d’Ippona nell’abitazione di Fiarè Rosario, capo dell’omonima cosca. Quella riunione, richiesta dal clan Petrolo, era finalizzata al raggiungimento della pax mafiosa con la cosca Bonavota che, come dichiarato dal collaboratore Michienzi Rosario, respingeva la proposta di pace e replicava con il tentato triplice omicidio in danno di Augurusa Paolo, Cugliari Fedele e Petrolo Rosario. Nella citata sentenza si legge che al summit parteciparono: Matina Pasquale, in rappresentanza del clan Petrolo, ed Arone Salvatore e un cognato di questi in rappresentanza di quello dei Bonavota».
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