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Caso Pittelli: l’ipotesi di riciclaggio passa da Milano a Roma

Il Tribunale di Vibo, Collegio di Rinascita Scott, richiama nella decisione di rispedire in carcere l’ex parlamentare di Forza Italia anche la richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura milanese. Ecco le accuse sulle quali il gup non si è però pronunciato dichiarandosi territorialmente incompetente

Caso Pittelli: l’ipotesi di riciclaggio passa da Milano a Roma
La Procura di Roma e nel riquadro Giancarlo Pittelli
Giancarlo Pittelli e Mara Carfagna

Dovrà occuparsene la Procura di Roma dell’inchiesta per l’ipotesi di reato di riciclaggio che vede coinvolto anche l’ex deputato di Forza Italia, Giancarlo Pittelli. Del procedimento penale si parla anche nell’ultimo provvedimento con il quale il Tribunale di Vibo Valentia (Collegio di Rinascita Scott, presidente Brigida Cavasino, a latere i giudici Claudia Caputo e Gilda Romano) ha rispedito in carcere l’imputato Giancarlo Pittelli per aver violato gli arresti domiciliari comunicando con l’esterno attraverso una lettera indirizzata al ministro Mara Carfagna nella quale invitava l’ex collega di partito ad aiutarlo “in qualunque modo” e invitando la stessa a telefonargli sul numero della moglie. Oltre a ricordare la vicenda giudiziaria che nell’ottobre scorso ha portato Pittelli di nuovo in carcere nell’ambito dell’inchiesta “Mala Pigna” della Dda di Reggio Calabria, il Tribunale di Vibo nell’aggravare la misura richiama infatti anche la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura di Milano il 24 maggio scorso per l’ipotesi di reato di riciclaggio nei confronti – fra gli altri – anche dell’ex parlamentare di Forza Italia. [Continua in basso]

Pittelli e l’ipotesi di riciclaggio

Giancarlo Pittelli in una foto d’archivio

Secondo la Procura di Milano, Giancarlo Pittelli figura tra i beneficiati dalla Kamet, una società di consulenza dell’imprenditore milanese Nicolò Pesce, 42 anni, finito al centro dell’inchiesta. Gli investigatori hanno in particolare concentrato le loro attenzioni su un bonifico da 300mila euro che sarebbe finito all’ex parlamentare di Forza Italia. Stando all’accusa, con un complicato giro di operazioni, Nicolò Pesce avrebbe riciclato oltre 20 milioni di euro, cioè una parte dei 500 milioni di profitti di una maxi truffa sui diamanti dai prezzi gonfiati che ha mietuto vittime anche tra vip come Vasco Rossi, Federica Panicucci e Simona Tagli.

Nicolò Pesce, che opera nel settore finanziario, era finito in carcere dopo un’indagine condotta dalla Guardia di Finanza e dal pm Grazia Colacicco. L’inchiesta originaria sulle pietre preziose era stata chiusa nel 2019, in vista della richiesta di processo a carico di 87 persone e 7 società, tra cui anche gli istituti di credito Banco Bpm, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Mps, BancaAletti.

L’imprenditore Pesce è accusato di aver ricevuto “in più tranche” da Maurizio Sacchi, amministratore della Diamond Private Investment (DPI) e uno dei principali indagati nell’inchiesta sui diamanti, oltre 20 milioni di euro per conto di società riconducibili a quest’ultimo.

Pesce sarebbe stato a conoscenza “delle vicende giudiziarie” in cui era coinvolto Sacchi e ne avrebbe parlato con l’avvocato ed ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli, che prima era il legale dello stesso Sacchi.

In particolare, il 19 febbraio 2019 Pittelli “informava” Pesce di un sequestro:Dpi sequestrata … questa mattina … un gran casino c’è anche il riciclaggio (…) quindi fai attenzione”. E ancora: “La questione di Sacchi è molto molto seria e lui non capisce nulla”. E Pesce replicava: “Lui deve stare fermo e zitto adesso”.

La competenza territoriale

L’inchiesta, tuttavia, per quanto attiene la posizione di Giancarlo Pittelli è dovrà essere trasferita alla Procura di Roma. Il gup del Tribunale di Milano si è infatti dichiarato territorialmente incompetente a trattare tale segmento di indagine, individuando nell’autorità giudiziaria della capitale la competenza territoriale. Per tale inchiesta, dunque, Giancarlo Pittelli non ha più alcun carico pendente essendo venuta meno la richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Milano a seguito della dichiarazione di incompetenza territoriale del gup.

L’11 febbraio scorso, invece, l’imprenditore milanese Nicolò Pesce – nell’ambito dell’inchiesta Crazy Diamond – ha patteggiato una condanna a 4 anni e 4 mesi.

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