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Infiltrazioni mafiose al Comune di Pizzo, il Tar del Lazio conferma il commissariamento

Respinto il ricorso di ex assessori e consiglieri per il ripristino dell’amministrazione dell’allora sindaco Gianluca Callipo. Diffusa illegalità, cura dell'interesse pubblico del tutto omessa e pesanti condizionamenti dei clan sui politici

Infiltrazioni mafiose al Comune di Pizzo, il Tar del Lazio conferma il commissariamento

Nessuna illegittimità nel provvedimento con il quale il Presidente della Repubblica, su proposta del Governo, decretò nel febbraio del 2020 lo scioglimento del Comune di Pizzo per infiltrazioni mafiose. E’ quanto deciso dal Tar del Lazio, respingendo il ricorso contro lo scioglimento proposto dagli ex assessori ed ex consiglieri Fabrizio Anello, Sharon Fanello, Maria Pascale e Cristina Mazzei. 

Il consiglio comunale di Pizzo è stato sciolto per infiltrazioni mafiose con decreto del Presidente della Repubblica  del  28  febbraio  2020 dopo il coinvolgimento dell’allora sindaco Gianluca Callipo nell’operazione Rinascita-Scott del dicembre 2019 unitamente ad alcuni dipendenti dell’ente.

I firmatari del ricorso avevano contestato, sotto vari profili, la sussistenza di un quadro indiziario univoco e certo riguardo il condizionamento mafioso del Comune. Secondo i giudici del Tar, invece, «il quadro emergente dall’istruttoria svolta dall’autorità giudiziaria descrive un contesto generale di diffusa illegalità, connotato da reiterati e pesanti condizionamenti sull’amministrazione comunale da parte dei clan malavitosi di quel territorio. Condizionamenti che hanno assunto, nel tempo, una pervasività e una ripetitività tali da condurre a una diffusa prassi d’illegalità alla base delle scelte politiche, ispirate da logiche clientelari, contiguità e parentele con ambienti controindicati, nei più svariati settori. Le circostanze rilevate in occasione degli accertamenti giudiziari e di polizia, confluite nella relazione prefettizia e in quella ministeriale, sono sintomatiche, inoltre, di specifiche cointeressenze tra gli esponenti politici e amministrativi dell’ente e le cosche locali. Cointeressenze che, in quanto tali, sono state ritenute idonee a suffragare il provvedimento adottato. Sono emerse, infatti, talune circostanze significative tra cui le frequentazioni di amministratori e dipendenti comunali con esponenti di ambienti controindicati, il sostegno elettorale di esponenti delle organizzazioni criminali locali, le ripetute illegittimità nelle procedure poste in essere dall’ente, la diffusa illegalità nei vari settori dell’amministrazione comunale e l’indebita ingerenza degli organi politici sull’operato degli organi amministrativi.

La concretezza di tali elementi è comprovata – sottolinea il Tar – da vicende e accadimenti storicamente verificatisi e accertati, che giustificano i rilievi mossi alla disciolta amministrazione. I legami e gli intrecci di interesse tra l’amministrazione di Pizzo con la criminalità organizzata locale si sono palesati già nel corso della campagna elettorale del giugno 2017, in occasione della quale il sindaco era candidato per il secondo mandato. Gli esiti dell’indagine “Rinascita–Scott”, e in particolare diverse intercettazioni ambientali, hanno fornito concreti elementi circa il sostegno elettorale dato al primo cittadino da parte delle locali consorterie mafiose».

Emerse, inoltre, criticità in molti settori e servizi dell’ente, rispetto alle quali «si riscontra una sistematica violazione delle regole a salvaguardia della legittimità e della trasparenza dell’azione amministrativa, con diffuse irregolarità nonché l’assenza di atti dei vertici politici idonei a ripristinare la legalità hanno favorito la permeabilità dell’istituzione ai condizionamenti malavitosi.». Un contesto che, secondo il Tar, «denota come la cura dell’interesse pubblico connesso al mandato conferito agli amministratori sia stata del tutto omessa». [Continua in basso]

Ed ancora: «Le attività di indagine hanno mostrato, in più casi, come l’attività amministrativa del Comune – sottolinea il Tar – sia stata spesso sviata in favore degli interessi imprenditoriali del sindaco. Ne è scaturito un intreccio di cointeressenze politico-affaristiche e criminali che, come ampiamente esposto nella relazione ministeriale, ha trovato conferma in varie circostanze, tra le quali merita menzionare la vicenda concernente l’occupazione di immobili comunali da parte di parenti di un capo clan locale e utilizzati per l’esercizio di un’attività commerciale.

Altresì rilevante nel senso del pericolo di condizionamento è risultata poi la vicenda concernente la richiesta pervenuta all’ufficio della polizia municipale di Pizzo di accertamenti in merito alla convivenza tra l’esponente mafioso locale, ristretto in carcere, e la sua compagna, al fine di consentire a quest’ultima di fargli visita. Gli accertamenti sono stati svolti, a seguito di avocazione del fascicolo, dal comandante della polizia municipale, il quale ha attestato falsamente la sussistenza dei requisiti necessari per consentire la visita nella struttura carceraria. Nel caso de quo, la compagine politica dell’ente è rimasta passiva, in un contesto tipicamente permeabile alle ingerenze della criminalità organizzata.

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