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Estorsioni al commerciante Zappia, chiesta la condanna in appello per il boss Antonio Mancuso

La Procura chiede un aumento di pena per l’imputato che dal dicembre dello scorso anno si trova agli arresti domiciliari per motivi di salute

Estorsioni al commerciante Zappia, chiesta la condanna in appello per il boss Antonio Mancuso
In foto Antonio Mancuso al momento dell'arresto
Antonio Mancuso

Conferma della penale responsabilità dell’imputato ma aumento di pena rispetto alla sentenza di primo grado per mancanza del riconoscimento delle attenuanti generiche. Queste le conclusioni della Procura generale di Catanzaro (il ricorso avverso la sentenza di primo grado l’aveva fatta la Dda) nel processo dinanzi alla Corte d’Appello che vede imputato il boss dell’omonimo clan Antonio Mancuso, 84 anni, di Limbadi, residente a Nicotera, condannato il 28 giugno dello scorso anno a 10 anni e 6 mesi dal Tribunale collegiale di Vibo Valentia (presidente il giudice Tiziana Macrì) nel processo nato dall’operazione denominata “Maqlub” (che in arabo significa ribaltamento), scattata nel luglio del 2019 con il coordinamento della Dda di Catanzaro e condotta sul “campo” dai carabinieri della Compagnia di Tropea. Per Antonio Mancuso la Procura generale ha chiesto la pena finale di 12 anni e 6 mesi di reclusione per l’estorsione ai danni del commerciante di Nicotera Carmine Zappia. Antonio Mancuso è stato in primo grado condannato pure all’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici ed anche al risarcimento del danno cagionato alle costituite parti civili Carmine Zappia, Giulia Zappia, Antonio Zappia, la Provincia di Vibo (avvocato Maria Rosa Pisani), la Regione Calabria (avvocato Antonella Coscarella), il Comune di Nicotera (avvocato Michele Pagnotta). Gli Zappia si erano invece costituiti parti civili con l’avvocato Giovanna Fronte. Antonio Mancuso era invece difeso dall’avvocato Giuseppe Di Renzo che oggi ha chiesto l’inammissibilità del ricorso della Procura.

Antonio Mancuso il 21 dicembre dello scorso anno ha lasciato il carcere per gli arresti domiciliari avendo la Corte d’Appello di Catanzaro accolto un’istanza presentata dall’avvocato Giuseppe Di Renzo per incompatibilità (ragioni di salute) con il regime carcerario. [Continua in basso]

Le accuse della Dda

L'imprenditore Carmine Zappia

Del reato di estorsione aggravata dalle modalità mafiose erano accusati Alfonso Cicerone e Giuseppe Cicerone (che hanno scelto il rito abbreviato, con Cicerone condannato a 9 anni e 8 mesi), quali concorrenti e cointeressati dal boss Antonio Mancuso. I due sarebbero stati incaricati di tenere direttamente i rapporti con la vittima, l’imprenditore di Nicotera Carmine Zappia.

Proprio Antonio Mancuso, secondo l’accusa, avrebbe impartito le direttive per l’estorsione convocando la vittima alla sua presenza e interloquendo direttamente con la stessa, in più occasioni ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, dapprima asserendo di aver rilevato il residuo credito di centomila euro vantato da Maria Giacco nei confronti della vittima Carmine Zappia, in relazione alla cessione nel maggio del 2011 di un immobile sito in via Filippella di Nicotera. Quindi riferendo di agire per conto di terze persone non meglio specificate, mediante violenza e minaccia derivante “dall’appartenenza dei Cicerone e di Antonio Mancuso alla famiglia di ‘ndrangheta dei Mancuso di Limbadi e dal carisma mafioso di Mancuso Antonio, connesso al suo ruolo di riconosciuto referente di tale famiglia”.

Antonio Mancuso è il fratello più grande di Luigi Mancuso, quest’ultimo imputato nel maxiprocesso Rinascita Scott.

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