giovedì,Marzo 28 2024

Le accuse al sindaco di Rende e all’assessore Munno: gestione del palazzetto e lavori in cambio di voti -Video

Secondo gli inquirenti nel 2019 il clan Lanzino avrebbe assicurato un pacchetto di consensi elettorali agli amministratori sulla base di un preciso accordo. A Cosenza invece a mettere nei guai Francesco De Cicco, ex assessore della giunta Occhiuto, sarebbe stata la sua attività nel settore delle scommesse

Le accuse al sindaco di Rende e all’assessore Munno: gestione del palazzetto e lavori in cambio di voti -Video
Dall'alto in senso orario Pino Munno, Francesco De Cicco e Marcello Manna

di Marco Cribari

Il sindaco di Rende, un assessore dello stesso Comune e uno di Cosenza, rispettivamente e in ordine di attribuzione: Marcello Manna, Pino Munno e Francesco De Cicco. Sono questi i politici coinvolti nell’inchiesta “Sistema Cosenza” e destinatari di misure cautelari che, per ora, li costringono ai domiciliari. Vediamo perché. I sospetti su Manna e sul suo assessore ai Lavori pubblici scaturiscono dal loro rapporto pericoloso con Adolfo D’Ambrosio e il suo gruppo. Già noto alle cronache per aver innescato per motivi analoghi un processo contro Sandro Principe (poi assolto da ogni accusa), D’Ambrosio è considerato da anni gauleiter del clan Lanzino in quel di Rende, e come tale nel 2019 avrebbe messo a disposizione il proprio pacchetto di voti a favore dell’allora candidato a sindaco Marcello Manna, all’epoca a caccia di riconferme sulla poltrona di primo cittadino. [Continua in basso]

Cento euro a voto, sarebbe stata la base d’asta della trattativa, uno somma di denaro a cui – secondo gli investigatori – il gruppo criminale avrebbe poi rinunciato, optando per un accordo più remunerativo: la gestione del palazzetto dello sport, la concessione di lavori in ambito urbanistico e una serie di “attenzioni” garantite loro dall’amministrazione uscente in caso di vittoria alle elezioni.

Al riguardo, tra gli elementi indiziari, figurano delle conversazioni tra l’assessore Munno e il fratello di Adolfo D’Ambrosio – fra cui una a votazioni in corso nella quale quest’ultimo è impegnato a controllare per conto del politico il seggio elettorale di Villaggio Europa – nonché altre captazioni fra esponenti dello stesso gruppo in cui delineano i contorni del presunto affare in corso.

Agli atti non figurano intercettazioni dirette con Manna, ma il ragionamento degli investigatori – ritenuto valido dal gip – è che l’allora candidato a sindaco “non potesse non sapere” e che Munno “non possa aver millantato” di avere il placet del sindaco mentre discuteva con il gruppo D’Ambrosio. Di certo c’è che una volta scarcerato, a luglio del 2019, Adolfo D’Ambrosio prende un appuntamento con Manna e si reca nel suo studio legale. E per il momento tanto basta. Al sindaco, infatti, viene contestato di aver anche promesso la gestione di due cooperative comunali a un altro indagato sempre a fini elettorali, ma riguardo a questo capo d’imputazione il giudice non ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza.

Sponda Cosenza, invece, il coinvolgimento di De Cicco non ha nulla a che vedere con le elezioni. A mettere nei guai l’ex assessore della Giunta di Mario Occhiuto oggi transitato in quella di Franz Caruso, semmai, è stata la sua attività imprenditoriale nel settore del “gaming” – scommesse illegali e slot machine truccate -, vicenda che segna il coinvolgimento anche di un ispettore di polizia, Silvio Orlando, finito anche lui ai domiciliari. Altra contestazione mossa a De Cicco, riguarda l’intestazione fittizia di beni, in particolare del circolo “Popily street” il cui reale proprietario, secondo la Dda, sarebbe invece Mario Piromallo alias “Renato”, uno dei capi dell’organizzazione criminale cosentina, con il quale il politico avrebbe uno stretto e consolidato rapporto. Al riguardo, ci sono le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Adolfo Foggetti, Silvio Gioia, Franco Bruzzese e Roberto Calabrese Violetta che parlano di una vera e propria protezione che Piromallo avrebbe assicurato negli anni a De Cicco dalle “aggressioni” degli altri gruppi criminali. E tutto questo perché, a detta loro, il boss stava solo difendendo un’attività di cui è proprietario occulto.

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