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Sentenza Rinascita Scott: «‘Ndrangheta vibonese unitaria, scoperchiato un vaso di Pandora»

Il Tribunale di Vibo spiega l’importanza dell’inchiesta con un ruolo di vertice riconosciuto a Luigi Mancuso e un «connubio ibrido in cui convivono mafiosi, uomini dello Stato, politici, professionisti e imprenditori»

Sentenza Rinascita Scott: «‘Ndrangheta vibonese unitaria, scoperchiato un vaso di Pandora»
Il Tribunale di Vibo e nel riquadro Luigi Mancuso

Ha struttura unitaria la ‘ndrangheta del Vibonese. Lo certificano le motivazioni della sentenza di primo grado del maxiprocesso Rinascita Scott depositate dal Tribunale collegiale di Vibo Valentia (presidente Brigida Cavasino, a latere i giudici Claudia Caputo e Germana Radice). Si tratta in particolare di una struttura riconosciuta dalla “casa madre” di San Luca, il c.d. “Crimine di Polsi” che applica anche alla ‘ndrangheta vibonese le “regole formali del “Crimine”, al contempo strutturandosi in distinte e autonome articolazioni territoriali ciascuna competente su una determinata area di influenza da ‘amministrare’ con autonomia e indipendenza: una sorta di confederazione di Stati che perseguono scopi criminali comuni, pur mantenendo, ciascuno al suo interno, piena sovranità”. A capo della ‘ndrangheta unitaria del Vibonese i giudici collocano il boss Luigi Mancuso di Limbadi, condannato a 30 anni nello stralcio di Rinascita Scott confluito nel processo nato dall’operazione denominata Petrol Mafie. “In virtù del suo grande carisma criminale e della sua lungimiranza e intelligenza, Luigi Mancuso – si legge in sentenza – è stato in grado di influire sulle dinamiche criminali dell’intero territorio vibonese e di intrecciare relazioni composite e fiorenti sia con i singoli sodalizi criminali operanti nella provincia, che con le altre consorterie di Reggio Calabria e della Piana di Gioia Tauro”. Sarebbe stato proprio Luigi Mancuso a dettare “le linee guida di una nuova e vincente strategia criminale non più fondata sullo stragismo e sulle faide tra gruppi contrapposti ma finalizzata a una ricomposizione dei dissidi”. Un capo indiscusso, quindi, “sovraordinato rispetto agli altri capi locali del Vibonese che, pur mantenendo autonomia operativa nel territorio di competenza, sono i primi ad attribuirgli un ‘potere superiore’, quello di risolutore di controversie e questioni nascenti o già sorte tra le varie famiglie di ‘ndrangheta, detentore, dunque, della strategia criminale da seguire”.

L’importanza di Rinascita Scott

I pm della Dda durante la lettura della sentenza

Sono sempre i giudici nelle motivazioni della sentenza a dare atto alla Dda di Catanzaro – guidata all’epoca dal procuratore Nicola Gratteri – di aver portato a termine un’operazione fondamentale e storica nel contrasto alla ‘ndrangheta vibonese. L’inchiesta mostra infatti come vive la criminalità calabrese e nello specifico quella vibonese, scoperchiando un vaso di Pandora in cui da troppo tempo ormai venivano occultati e assecondati in modo compiacente e silente, rapporti tra mafiosi, uomini dello Stato, politici, professionisti e imprenditori”. Ci si trova dinanzi ad un “connubio ibrido, un tenebroso sottobosco in cui la criminalità organizzata, esponenti della politica e imprenditori non solo convivono a stretto contatto, ma hanno anche delle evidenti cointeressenze ramificate e tentacolari in ogni ambito della società, con una ‘ndrangheta vibonese dalle “risorse illimitate e in grado di creare solide e perduranti alleanze con il mondo dei colletti bianchi, intessendo relazioni via via più qualificate sino a trasformarsi in una potenza economica che va ben al di là dei confini provinciali e regionali imponendosi ‘criminalmente’ nel panorama internazionale”.

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