Black Widows, confermate 7 condanne nel processo-bis di Appello ma la ’ndrangheta non c’entra: «Accuse troppo generiche»
Secondo le motivazioni della sentenza gli indizi contro la famiglia Inzillo sarebbero «non pregnanti e univoci»
Ariola, frazione del Comune di Gerocarne, un paesino al centro della provincia di Vibo Valentia con meno di 2000 anime. È qui che si consuma la faida del locale dell’Ariola che vede molte vittime ma trova scarne conferme in Tribunale.
Dal 2009 al 2017 si contano il primo tentato omicidio ai danni di Salvatore Inzillo (2009), il tentato omicidio di Giovanni Alessandro Nesci (2011), il tentato omicidio di Giovanni Emmanuele (2012), l’omicidio di Nicola Rimedio (2012), l’omicidio di Antonino Zupo (2012), l’omicidio di Filippo Ceravolo e il tentato omicidio di Domenico Tassone (2012), l’omicidio di Salvatore Lazzaro, i tentati omicidi di Valerio Loielo (2014), di Antonino Loielo e di Walter Loielo (2015), il tentato omicidio di Giovanni Alessandro Nesci (2017), l’omicidio di Salvatore Inzillo (giugno 2017), il tentato omicidio dei fratelli Giovanni Alessandro e Manuel Nesci (luglio 2017), il tentato omicidio di Nicola Ciconte (2017). Sono tutti dati che snocciola la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro nelle appena undici pagine della sentenza bis del processo Black Widows che stabilisce – prona con la Cassazione – che non c’è mafia nei reati per i quali sono state condannati Rosa Inzillo (4 anni e 2 mesi), Viola Inzillo (4 anni e 6 mesi), Teresa Inzillo (6 mesi), Michele Nardo (4 anni e 4 mesi), Salvatore Emmanuele (2 anni e 8 mesi), Ferdinando Bartone (2 anni e 8 mesi), Maria Rosaria Battaglia (5 mesi e 10 giorni). Gli imputati sono stati condannati, a vario titolo, per detenzione (anche abusiva) di parecchie armi e munizioni, ricettazione, riciclaggio.
La Cassazione sull’aggravante mafiosa: «Riferimenti generici»
Non c’è mafia però. Lo stabilisce (dopo due gradi di giudizio che avevano confermato l’aggravante mafiosa) la Corte di Cassazione il 4 maggio 2023, quando annulla con rinvio il processo per la sola aggravante mafiosa e per una rideterminazione delle pene.
La contestazione degli ermellini è sulla genericità esposta dalla Corte calabrese nel riconoscere l’aggravante mafiosa. Si parla di «generico riferimento al contesto di riferimento nel quale si muovono gli imputati e ha ritenuto che in un contesto territoriale caratterizzato dalla faida tra i Loielo e gli Emmanuele per il controllo del territorio, la vicinanza degli Inzillo agli Emmanuele e dei Nesci ai Loielo portava a ritenere, stante la dinamica mafiosa delle quali le vicende presentano tutte le caratteristiche, la sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa senza però indicare elementi specifici considerato anche che i due tentati omicidi».
Il tentato omicidio dei fratelli Nesci
L’inchiesta Black Widows parte, infatti, dal tentato omicidio dei fratelli Giovanni Alessandro e Manuel Nesci (quest’ultimo affetto da sindrome down) il 28 luglio 2017. Appena un mese prima era stato ucciso Salvatore Inzillo.
L’accusa di omicidio, che non regge fina dal primo grado di giudizio, nasce proprio dalla sanguinosa fai da in corso tra Loielo-Nesci ed Emmanuele-Inzillo che di sangue innocente ne ha versato. Basti pensare al delitto impunito di Filippo Ceravolo nel 2012, reo di avere chiesto un passaggio a casa a Domenico Tassone, vero bersaglio dei killer rimasto illeso perché lesto a lanciarsi fuori dall’auto crivellata di colpi.
Una pioggia di fuoco
Ma torniamo a noi. I due fratelli Nesci tornavano a casa quel giorno d’estate quando sono stati raggiunti da una pioggia di fuoco che ha ferito il grande, Giovanni Alessandro, alla spalla destra e al fianco destro, mentre il piccolo, appena 12enne, è stato raggiunto all’addome da un proiettile che lo ha trapassato.
I killer li avevano attesi nascosti negli anfratti di un’abitazione davanti a quella delle vittime designate che si sono salvate rifugiandosi dietro un’insenatura del muro della sala d’ingresso e nel piano seminterrato, attendendo che gli assalitori terminassero le munizioni e venendo poi soccorsi dal padre Angelo e dal fratello Massimiliano.
Le armi e il sostegno di Salvatore Emmanuele
Le armi circolavano numerose nella frazione di Gerocarne. Sono state trovate anche in buchi scavati nei muri.
All’indomani dell’arresto di Viola Inzillo, le intercettazioni hanno valorizzato – lo ammettono anche i giudici – il diretto appoggio da parte di Salvatore Emmanuele alla famiglia Inzillo.
L’aggravante mafiosa «è stata ritenuta sulla scorta di elementi indiziari non pregnanti e univoci», scrivono i giudici della Corte d’Appello, «d’altro canto, gli stessi collaboratori di giustizia non hanno fatto riferimento agli imputati, a loro sconosciuti».
Forse, semplicemente, come scriveva Fortunato Seminara, «un frammento di villaggio calabrese ha una carica atomica. È una temperatura a cui pochi resistono e se lacrime e sangue si trovano nelle mie opere, è perché costa lacrime e sangue vivere qui».
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