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Inchiesta Habanero, il collaboratore Walter Loielo: «Mio cugino Vincenzo voleva tagliare la testa al fratello»

Il capo del clan di Gerocarne non avrebbe gradito la scelta del congiunto di svelare gli affari della famiglia agli inquirenti. La pistola puntata in bocca a un imprenditore, gli affari con il taglio dei boschi, gli omicidi e lo scontro con i Maiolo di Acquaro

Inchiesta Habanero, il collaboratore Walter Loielo: «Mio cugino Vincenzo voleva tagliare la testa al fratello»
Gerocarne vista dall'alto
Walter Loielo

Continuano a svelare particolari e retroscena criminali del tutto inediti gli atti dell’inchiesta antimafia Habanero, scattata nel giugno scorso ad opera della Dda di Catanzaro che sta tentando così di ricostruire molteplici fatti delittuosi rimasti impuniti nell’area delle Preserre vibonesi dominata dal “locale” di ‘ndrangheta di Ariola di Gerocarne. Sono in particolare le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Walter Loielo, a permettere agli inquirenti di ricostruire assetti criminali e strategie dei clan dopo la storica operazione “Luce dei boschi” che fotografa una realtà criminale ferma però al 2012. Molti dei verbali del collaboratore Walter Loielo sono ancora coperti da segreto investigativo, ma quelli invece già discoverati con l’inchiesta Habanero permettono comunque di avere un’idea più chiara sulla portata dirompente delle dichiarazioni del rampollo dell’omonima famiglia, capace di uccidere persino il padre e convivere poi con la compagna di quest’ultimo facendo ritrovare il corpo del genitore occultato nei boschi di Ariola.

Vincenzo Loielo e la testa da tagliare al fratello

Vincenzo Loielo

E’ bene evidenziare che Walter Loielo non è il primo componente dell’omonima famiglia di Ariola – negli anni al centro di una guerra di mafia prima con i Maiolo di Acquaro e poi con gli Emanuele di Gerocarne – a scegliere di collaborare con la giustizia. Prima di lui ci aveva pensato Francesco Loielo, uno dei reggenti del clan e che al momento della collaborazione stava scontando una condanna per sequestro di persona. Le sue dichiarazioni – unitamente a quelle di Enzo Taverniti – si sono rivelate fondamentali per l’inchiesta “Luce nei boschi” portata a termine nel 2012. Dichiarazioni per le quali – e questa è la principale novità che salta ora fuori dall’operazione Habanero – c’è chi aveva giurato di fargliela pagare, sino a volere la sua morte e il taglio della sua testa. E’ il nuovo collaboratore Walter Loielo a svelare il proposito di eliminare Francesco Loielo, chiamando in causa Vincenzo Loielo (cl. ’47), il capo storico del clan. “Non ho mai conosciuto mio cugino Francesco Loielo, anche se Vincenzo Loielo – rivela Walter Loielo – ne parlava male dicendo che avrebbe voluto ucciderlo visto che era un pentito. Ma disse anche che non era un pentito giusto, visto che non raccontava cose di altri gruppi, ma raccontava solo le cose del suo gruppo. C’ero personalmente – ha aggiunto Walter Loielo – quando Vincenzo Loielo parlava del fratello Francesco Loielo dicendo che gli avrebbe voluto tagliare la testa”. Un proposito di morte non attuato, anche per via del regime di protezione al quale è sottoposto Francesco Loielo.

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I Loielo, gli omicidi e la pistola puntata in bocca

Vincenzo Loielo (cl. ’47), ritenuto il capo storico della famiglia (ma non indagato in Habanero), è rimasto ininterrottamente detenuto in carcere dal 1991 al 14 luglio 2014, scontando la pena per due sequestri di persona (gli imprenditori Paolo Giorgetti e Cataldo Albanese, rapiti rispettivamente nel 1978 e nel 1989). Il 13 marzo 1989, mentre Vincenzo Loielo si trovava in stato di semi libertà e stava facendo rientro in carcere, quando subì un attentato rimanendo ferito. I responsabili vengono individuati dalla famiglia Loielo nei Maiolo di Acquaro e da qui la vendetta contro tutti i soggetti ritenuti vicini al gruppo avversario.
Dieci anni di faida e di guerra di mafia, con il gruppo dei Maiolo destinato a subire durissimi colpi venendo uccisi in una impressionante escalation di violenza gran parte dei propri sodali: sei gli omicidi e tre i tentati omicidi commessi tra il 13 marzo 1989 e il 1998. Vincenzo Loielo è stato assolto in via definitiva per il duplice omicidio di Rocco Maiolo e Raffaele Fatiga, scomparsi da Acquaro agli inizi degli anni ’90 e mai ritrovati. Per i due delitti, inquadrabili in un tipico caso di “lupara bianca”, il pm Marisa Manzini aveva chiesto per Vincenzo Loielo la pena dell’ergastolo.  Il cadavere di Antonio Maiolo è stato invece fatto ritrovare dal collaboratore di giustizia Enzo Taverniti, che ha però ha spiegato come ad eliminare colui che veniva ritenuto quale capo dell’omonimo clan di Acquaro (Maiolo) sarebbero stati un altro omonimo Vincenzo Loielo (cl. ’66) – primo cugino di Vincenzo Loielo (cl. ’47) e al tempo stesso cognato di Taverniti – e Antonio D’Amico di Piscopio (anche quest’ultimo poi ucciso).

A riaprire quindi ora il “capitolo” degli omicidi è il collaboratore di giustizia Walter Loielo, con le dichiarazioni confluite nell’inchiesta Habanero. “Vincenzo Loielo mi ha anche parlato degli omicidi degli anni passati, commessi da lui stesso nei confronti dei Maiolo e ci aveva anche raccontato che aveva prestato a Ilario Chiera 50mila euro, motivo per cui siamo andati io, Valerio Loielo e Vincenzo Loielo a minacciarlo con la pistola per avere la restituzione. La pistola la teneva Vincenzo Loielo e gliela puntò in bocca, motivo per il quale il Chiera iniziò a restituirglieli un po’ alla volta ogni mese. Chiera provò anche a vendere le attrezzature della segheria ma gli volevano dare poco. Mi sembra che Ilario Chiera corrispondeva a Vincenzo Loielo – ha concluso il collaboratore – 200-300 euro al mese”.
L’imprenditore Ilario Chiera di Gerocarne (cugino, tra l’altro dello stesso Vincenzo Loielo) figurava tra gli imputati dell’operazione “Luce nei boschi” e nei suoi confronti il pm Marisa Manzini aveva chiesto la condanna a 6 anni di reclusione (processo con rito abbreviato). Il 14 giugno 2013, il gup distrettuale ha però dichiarato per Ilario Chiera il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Era accusato di essersi interessato, per conto dei clan di Gerocarne, agli appalti boschivi appaltati dal Comune.

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Le precedenti dichiarazioni di Francesco Loielo

Le dichiarazioni di Walter Loielo vanno quindi incrociate con quelle rese dieci anni prima dal cugino Francesco Loielo e confluite nell’operazione “Luce nei boschi”. E’ stato quest’ultimo, infatti, a spiegare agli inquirenti che una parte dei soldi – 200 milioni di lire – del riscatto del sequestro di Cataldo Albanese (9 ottobre 1989), figlio di un imprenditore tarantino, sarebbero stati consegnati da Vincenzo e Giovanni Loielo – fratelli del collaboratore – a Ilario Chiera per impiantare una segheria ad Ariola. Chiera, legato anche al boss di Gerocarne Antonio Altamura (secondo l’inchiesta “Luce nei boschi”), negli anni avrebbe così monopolizzato gli appalti boschivi. Indipendentemente dalla vittoria o sconfitta elettorale a Gerocarne – aveva dichiarato sul punto il collaboratore Enzo Taverniti – i boschi li tagliano sempre gli stessi, la musica non cambia”. Ciò sarebbe avvenuto con tutte le amministrazioni comunali di Gerocarne (almeno sino al 2011), con il taglio dei boschi “gestito privatamente da Altamura, Nadile, Ciconte e gli Emanuele” che non avrebbero fatto avvicinare altre ditte.

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