‘Ndrangheta: operazione “Saggio compagno”, Cuturello resta in carcere
Il genero del boss Giuseppe Mancuso è accusato di traffico di armi e droga con il clan Ladini di Cinquefrondi
Resta in carcere Salvatore Cuturello, 47 anni, di Nicotera Marina, genero del boss della ‘ndrangheta Giuseppe Mancuso (cl. ’49, alias ‘Mbroghjia), arrestato nel dicembre del 2015 nell’ambito dell’operazione antimafia “Saggio Compagno” della Dda di Reggio Calabria. La quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha infatti dichiarato “inammissibile” il ricorso di Cuturello avverso l’ordinanza del Tribunale della Libertà di Reggio Calabria emessa nel febbraio dello scorso anno. Cuturello è accusato di detenzione di armi (almeno 68) che avrebbe affidato in custodia l’11 marzo 2014 a Giuseppe Ladini, soggetto ritenuto di spicco all’interno dell’omonimo clan di Cinquefrondi. Cuturello è inoltre accusato per reati inerenti gli stupefacenti (cocaina e marijuana) aggravati dall’articolo 7 della legge antimafia.
Per i giudici della Suprema Corte, alcune conversazioni che interessano il vibonese Salvatore Cuturello (in foto) sono di “un significato inequivocabile”. Come quella in cui il presunto capo clan, Giuseppe Ladini, aveva fatto riferimento al prezzo di 68 armi, interrogandosi sul guadagno che avrebbe ricavato dalla programmata vendita. Nel contesto discorsivo, Ladini si era riferito anche “a tale Turi, che sarebbe dovuto intervenire nella negoziazione, aggiungendo che qualcuno si sarebbe dovuto portare a Limbadi o Nicotera, paesi che, secondo le notizie acquisite in atti, sono quelli di nascita e residenza dell’indagato”.
Emerge poi che Ladini aveva evocato la presenza di una persona, che appellava indifferentemente con il nome di Turi o Salvatore. A completare l’identificazione, pure le comunicazioni tramite facebook tra Ladini e Cuturello, nonché la pluralità di visite effettuate da Cuturello nell’abitazione del capo cosca “nello stesso contesto temporale in cui questi si incontrava con i coindagati, accertate tramite visione diretta da parte di personale di polizia giudiziaria, nonché i numerosissimi messaggi telefonici intercorsi tra i due”.
In tale cornice indiziaria, la Cassazione sottolinea anche la “costanza di rapporti tra Cuturello e Ladini, dirigente del sodalizio mafioso, che in quel frangente storico – rimarca la Suprema Corte – stava realizzando il progetto criminale di dare vita ad un proprio autonomo sodalizio delinquenziale, con l’appoggio della famiglia Ierace” di Cinquefrondi.