«Segnato da due anni di menzogne», parla il commercialista vibonese Andrea Betrò prosciolto dall’inchiesta “Assedio”
Il gup di Roma ha sentenziato il non luogo a procedere: «Tirato dentro da chi millantava il mio supporto. La mia storia è un monito, non si può giocare con la dignità delle persone»

Andrea Betrò, una laurea in Economia Internazionale, una specializzazione in Scienze Economico-Aziendali e un dottorato in diritto tributario, è un giovane professionista di Pizzo rimasto coinvolto in una brutta storia, per fortuna con un lieto fine. Ma si tratta di una vicenda giudiziaria che ha lasciato conseguenze gravi in una persona perbene. E come sappiamo dalle cronache, non è certamente la sola vicenda.
Andrea Betrò, finalmente la luce dopo una lunga notte. Come si sente?
«Mi sento sollevato, ma anche profondamente segnato. Dopo quasi due anni vissuti come bersaglio di una narrazione distorta e ingiusta, questa assoluzione rappresenta la vittoria della verità. Ma non cancella tutto ciò che ho subito: la diffamazione, la perdita di fiducia, l’umiliazione pubblica. È un sollievo, sì, ma anche un monito: non si può giocare con la dignità delle persone».
Ma come è potuto accadere che un giovane professionista serio e affidabile si ritrovi dalla sera alla mattina in un baratro?
«È accaduto perché nel nostro sistema mediatico e giudiziario, a volte, si preferisce costruire una narrazione invece che cercare la verità. Bastano due parole dette da altri – magari in contesti che non ti riguardano nemmeno – per finire sotto i riflettori. E da lì, l’effetto valanga è immediato. Si dimentica la presunzione d’innocenza, si costruisce un colpevole da esibire, e intanto si distrugge una vita».
Ma di cosa l’accusavano esattamente? E come si è arrivati al suo nome?
«Non c’era un’accusa fondata. Il mio nome è emerso soltanto perché alcune persone, durante intercettazioni che non mi riguardavano affatto, vantavano di avere rapporti con me e sostenevano che avrei potuto garantire coperture. È tutto falso, e lo dimostrano chiaramente le carte processuali: non ho mai fornito, né avrei potuto fornire, nessun tipo di protezione. È stato sufficiente che qualcuno mi citasse, peraltro mentendo, perché mi ritrovassi travolto. Ed è proprio questo il punto: sarebbe bastato leggere con attenzione gli atti, ma forse erano “troppi” per essere letti a fondo. E così, mentre io cercavo di spiegare e documentare la mia estraneità, sono stato trattato come un colpevole».
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