‘Ndrangheta: operazione Artemis, la Cassazione conferma la misura cautelare per due dei principali indagati
Il clan Cracolici di Maierato e Filogaso avrebbe spostato i propri interessi nel narcotraffico operando nel territorio di Maida attraverso la coltivazione di marijuana in alleanza con i rosarnesi


Ordinanza di custodia cautelare in carcere confermata per due degli indagati dell’operazione antimafia Artemis contro il clan Cracolici che ha le sue roccaforti nei comuni di Maierato, Filogaso, Maida e Cortale. La Cassazione ha infatti rigettato i ricorsi di Alfredo Cracolici, 34 anni, residente a Maida, e Francesco Messina, 35 anni, di Rosarno, confermando così le decisioni del Tribunale del Riesame di Catanzaro. Ad Alfredo Cracolici vengono contestati i reati di associazione mafiosa e narcotraffico. La Cassazione ricorda che l’ordinanza impugnata ha premesso che il clan Cracolici costituisce “una ‘ndrina storica della ndrangheta calabrese, già operante in Maierato, Filogaso, Cortale e Maida. Le operazioni di intercettazione, svolte anche attraverso i sistemi di videosorveglianza installati presso le aziende impegnate nella coltivazione delle serre di marijuana e, in particolare, in quella di località Corazzo del comune di Maida dove si registrava la presenza di Alfredo Cracolici hanno attestato la perdurante operatività dell’associazione in un’ampia zona del territorio ubicato tra la provincia di Vibo Valentia e Lametia Terme. Le indagini hanno rivelato che la cosca era impegnata sia nelle attività di coltivazione di sostanze stupefacenti e connesso traffico, anche di droghe pesanti, e tagli boschivi. Il clan Cracolici è capeggiato, allo stato, da Domenico Cracolici, cl. 1971 che, in un contesto reso difficile dallo stato di detenzione di molti aderenti ai vari clan, è stato individuato come il soggetto fattivamente impegnato sia nella creazione e mantenimento in vita dei rapporti tra i sodali (ai quali procurava, essendo ristretti agli arresti domiciliari, schede telefoniche), sia nella gestione di una cassa comune, in cui affluivano i guadagni illeciti utilizzati per mantenere gli associati detenuti e i loro congiunti e far fronte alle spese legali.
L’ordinanza richiama inoltre, l’impegno di Domenico Cracolici nella soluzione di contrasti sul territorio”. Alfredo Cracolici, classe 1991, fratello di Domenico, è stato quindi ritenuto “partecipe di entrambe le associazioni: a tale riguardo l’ordinanza impugnata ha sottolineato – ricorda la Suprema Corte – che l’associazione dedita ai reati in materia di stupefacenti costituisce lo strumento finanziario di quella ‘ndranghetista”. Le conversazioni intercettate, precedenti al sequestro del capannone del giugno 2022, comprovavano inoltre le attività di sorveglianza della piantagione di marijuana e i contatti con “i rosarnesi” che vedevano l’indagato Alfredo Cracolici “interagire con i fratelli e altri correi sia per le attività funzionali alla realizzazione della piantagione che per la creazione di contatti utili allo smercio della droga”.
Per quanto riguarda Francesco Messina, la Cassazione ricorda che lo stesso è stato attinto da ordinanza di custodia cautelare in carcere in quanto accusato del reato di partecipazione ad un’associazione dedita al narcotraffico, capeggiata da Domenico Cracolici classe 71, con il ruolo di “bracciante agricolo esperto nella coltivazione di cannabis, “prestato” per questo dalla ‘ndrangheta di Rosarno al clan dei Cracolici, dedito alla gestione di cinque piantagioni i cui proventi venivano suddivisi tra le due compagini criminali”. I clan di Rosarno e i Cracolici, quindi, avrebbero gestito il traffico di diversi tipi di stupefacenti tra Lamezia Terme, Maida e Cortale, con particolare riferimento alla marjuana, “autoprodotta dalla stessa consorteria di Cracolici e poi confezionata e spacciata, con basi logistiche e di custodia, attraverso soggetti appartenenti ad entrambi i clan che comunicavano non con telefoni ordinari ma con “citofonini”.