‘Ndrangheta, strage di Ariola: aperto il processo in Corte d’Assise
L’inchiesta sui Maiolo di Acquaro mira anche a far luce sul triplice omicidio mafioso avvenuto nel 2003


Aperto in Corte d’Assise a Catanzaro il dibattimento per la ‘strage dell’Ariola’ avvenuta il 25 ottobre 2003 a Gerocarne, frazione di Ariola, nella quale vennero uccise tre persone – Francesco Gallace, Giovanni Gallace e Stefano Barilaro – e ferita una quarta. Un triplice omicidio plurimo con l’aggravante mafiosa contestato dalla Dda di Catanzaro nell’ambito dell’operazione antimafia denominata Habanero che ha colpito il clan Maiolo di Acquaro. Gli imputati per la strage sono: Angelo Maiolo, 41 anni, di Acquaro; Francesco Maiolo, 46 anni, di Acquaro; Francesco Maiolo, 42 anni, di Acquaro, residente a Brandizzo. Parti civili nel processo si sono costituiti i familiari di Stefano Barilaro, assistiti dall’avvocato Michele Gigliotti, il Ministero dell’Interno e diversi Comuni delle Preserre vibonesi come Acquaro, Arena, Dasà, Gerocarne, Sorianello e Vazzano. Dopo la costituzione delle parti, il processo è stato rinviato al 21 ottobre prossimo. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Sergio Rotundo, Sandro D’Agostino e Lucio Canzoniere.
Secondo l’impalcatura accusatoria, la strage sarebbe stata compiuta per volontà dei tre Maiolo. Un’azione di sangue nata – ad avviso della Dda – per vendicare le scomparse (lupare bianche) negli anni ’90 di Rocco e Antonio Maiolo, genitori dei Maiolo ora arrestati, uccisi in uno scontro tra clan per il predominio mafioso della zona.
A sostegno dell’impianto accusatorio della Dda di Catanzaro ci sono le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (Francesco Loielo, Enzo Taverniti, Michele Ganino, Daniele Bono, Diego Zappia, Rocco Oppedisano, Antonio Forastefano e Raffaele Moscato) e l’attività di indagine basata anche su diverse intercettazioni.
La strage
Secondo la ricostruzione accusatoria, alle ore 12:10 del 25 ottobre 2003 i carabinieri di Vibo Valentia venivano avvertiti telefonicamente da Ilario Antonio Chiera che, poco prima, in località ‘Ponte dei Cavalli’ sita nella frazione Ariola del comune di Gerocarne, ignoti avevano esploso colpi di arma da fuoco all’indirizzo suo e di altre tre persone che si trovavano con lui a bordo di un’autovettura. Due persone erano già decedute, mentre lui stesso ed un altro soggetto erano gravemente feriti. Giunti sul posto, i militari dell’Arma avevano rinvenuto la presenza, al centro della carreggiata, di un’auto fuoristrada Mitsubishi Pajero di colore bianco attinta da numerosi colpi di arma da fuoco principalmente nella parte anteriore; nell’abitacolo vi erano i cadaveri di Francesco Gallace e di Giovanni Gallace seduti, rispettivamente, al lato guida e al lato passeggero. Poco prima dell’arrivo dei carabinieri era giunta un’ambulanza del servizio 118 che aveva prestato le prime cure ad un giovane sdraiato sul ciglio stradale (identificato per Stefano Barilaro), il quale era gravemente ferito alla testa ed è poi deceduto nella stessa giornata presso l’ospedale civile di Catanzaro dove era stato nel frattempo portato per le cure del caso.
Ilario Antonio Chiera, che aveva allertato le forze di polizia, risultava invece ferito in modo meno grave. A seguito dei rilevamenti effettuati dagli investigatori era stato possibile accertare che all’indirizzo dell’autovettura (in uso a Francesco Gallace) erano stati esplosi quattordici colpi di fucile calibro 12 a pallettoni.
I mezzi utilizzati dai sicari in fuga
I risultati scientifici hanno evidenziato che a fare fuoco sono stati almeno tre soggetti armati di due fucili semiautomatici da caccia calibro 12 e di un fucile da caccia del medesimo calibro; inoltre, un altro soggetto aveva provveduto al recupero dei sicari dopo l’agguato. Successivamente (il 4 febbraio 2004) gli investigatori avevano rinvenuto in una fitta zona boschiva, sita in località ‘Prasto’ della frazione Ariola di Gerocarne, poco distante dal luogo dell’agguato, i mezzi utilizzati dai sicari (due autovetture ed un ciclomotore) occultati tra la vegetazione nel fondo di un dirupo. “Il sopravvissuto Ilario Antonio Chiera aveva riferito che, mentre si trovava a bordo del fuoristrada seduto nella parte posteriore, aveva udito dei colpi di arma da fuoco e che era riuscito ad abbandonare l’auto grazie alla rottura di un finestrino posteriore da parte del Barilaro che era seduto vicino a lui. Ciò nonostante – ha spiegato la Cassazione pronunciandosi sulla misura cautelare nei confronti dei Maiolo – Chiera era stato raggiunto da alcuni proiettili, ma riferiva che uno dei sicari (vestito con abiti militari e con passamontagna) sebbene si fosse accorto che egli era ancora vivo non aveva inteso finirlo”.
Lo scontro nel “locale” di ‘ndrangheta di Ariola
Tale circostanza faceva ritenere agli investigatori che l’obiettivo dell’agguato “erano unicamente i due Gallace; l’episodio doveva quindi essere inquadrato nella lotta in corso per il controllo del ‘locale di Ariola’ tra le vittime e la famiglia Maiolo, nonché per la volontà dei fratelli Angelo e Francesco (classe ’79) Maiolo e del loro cugino Francesco Maiolo (’83) di vendicare l’uccisione dei propri genitori (Rocco ed Antonio Maiolo) avvenuta negli anni ’80 per mano proprio dei Gallace”. La strage di Ariola era inoltre avvenuta “pochi giorni dopo il tentato omicidio in danno di Enzo Taverniti (soggetto vicino ai Gallace, poi divenuto collaboratore di giustizia), il quale preoccupato per la propria sorte – subito dopo il triplice omicidio – aveva cercato di contattare Bruno Maiolo (‘zio Bruno’) per risolvere la vicenda con i Maiolo (che, tra l’altro, erano anche suoi cugini)”.
I fratelli Angelo e Francesco Maiolo si trovano attualmente ristretti in regime di carcere duro (articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario).