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‘Ndrangheta: la strage di contrada Cocari a Vibo nelle dichiarazioni del pentito Giampà

I verbali inediti di “Mille lire” riaprono uno dei fatti di sangue più eclatanti degli ultimi 30 anni. Una carneficina rimasta ad oggi impunita

‘Ndrangheta: la strage di contrada Cocari a Vibo nelle dichiarazioni del pentito Giampà

Gettano un “fascio di luce” anche su un fatto di sangue eclatante e rimasto impunito a oltre 30 anni dagli avvenimenti, le dichiarazioni del pentito Pasquale Giampà di Lamezia Terme, 53 anni, alias “Mille lire”. Si tratta della strage di contrada Cocari di Vibo Valentia in cui il 18 novembre 1986 sono state uccise quattro persone mentre un’altra è rimasta ferita gravemente.

La strage di contrada Cocari. E’ mattina del 18 novembre 1986 quando a polizia e carabinieri arriva una telefonata: “Correte, in località Cocari c’è stata una sparatoria, ci sono dei morti”. Gli investigatori si trovano davanti ad una scena agghiacciante: con i volti sfigurati dalla lupara tre persone giacevano bocconi sull’erba in uno spiazzo antistante una casa di campagna costruita con blocchi di cemento e lamiera. All’ interno, altri due uomini per terra in una pozza di sangue. Uno – Francesco Cracolici, 48 anni di Maierato – era ancora vivo, portato in ospedale prima a Vibo e quindi in Neurochirurgia a Catanzaro: era stato raggiunto da almeno quattro colpi di pistola, due alle spalle e due alla testa. L’ altro – Domenico Maccarone, 37 anni di Limbadi – era morto, ucciso a colpi di fucile e poi sgozzato con un grosso coltello da pastore.

Francesco Cracolici, 48 anni, soprannominato “Palermo” perché originario come la sua famiglia del capoluogo siciliano – da dove era fuggito insieme ai più stretti congiunti per sottrarsi ad una faida – era stato l’autore, assieme al padre, di un omicidio nel 1967 (uccise il custode del campo sportivo di Vibo, Rosario Policoro, venne condannato a 21 anni di carcere e dopo 9 anni di semilibertà era stato scarcerato) e da tempo le forze dell’ ordine lo tenevano d’occhio per alcuni episodi di cronaca.

Morti in un lago di sangue sono stati trovati poi: Francesco Castagna, 23 anni, muratore di Filandari, pregiudicato per reati contro il patrimonio, Nazareno Franzè, pastore, 26 anni, di Fabrizia ma abitante a Limbadi, parente del pastore Domenico Maccarone, di Limbadi.

I Cracolici, alias “Palermo”, possedevano all’epoca in contrada Cocari due case rustiche: una fatta di due stanze con coperura di eternit (un vano con focolare e una camera da letto), l’altra che serviva da ovile. Qui erano arrivati alle 11 di mattina i quattro forestieri, a bordo di una Alfetta di proprietà di un fratello di Francesco Castagna, e di una Lancia Prisma intestata a Nazzareno Franzè. La discussione sarebbe durata poco più di un quarto d’ ora. Quindi si è passati alle armi. Maccarone, il solo trovato armato di pistola, avrebbe tentato di coprirsi sparando a ripetizione contro Francesco Cracolici che a sua volta imbracciava una lupara. Nazzareno Franzè è stato invece trovato con un piccone in mano: avrebbe voluto usarlo contro il suo avversario che però lo aveva preceduto sparandogli da distanza ravvicinata un colpo di lupara al volto.

Le dichiarazioni inedite di Giampà. Interrogato nel carcere di Rebibbia a Roma dal pm della Dda di Catanzaro, Camillo Falvo, Pasquale Giampà, di Lamezia Terme, 53 anni, detto “Mille lire” (in foto), collaboratore di giustizia dal 4 aprile del 2006 – da sempre elemento di spicco dell’omonimo clan fondato negli anni ’80 dal cugino Francesco Giampà, alias “Il Professore”, e poi a capo della cosca dal 2001 – svela particolari del tutto inediti sulla strage di contrada Cocari. “Ho conosciuto i Cracolici, detti “Palermo”, sia Raffaele detto Lele, che Alfredo e Francesco, quest’ultimo – dichiara Giampà – rimasto ferito in una strage vicino al terreno dove aveva l’ovile il padre. E’ stato Lele Cracolici a raccontarmi che l’autore della strage avvenuta negli anni ’80 nell’ovile del fratello Francesco, all’entrata di Vibo Valentia, nella quale è rimasto ferito lo stesso Francesco Cracolici, era stato l’altro fratello Alfredo, contro la volontà di Francesco, per via del fatto che una delle vittime, tale Domenico Maccarone di Limbadi, aveva avuto un alterco al bar con lui in quanto gli doveva dei soldi”. Il collaboratore di giustizia Pasquale Giampà spiega così agli investigatori ed al pm che “Francesco Cracolici avrebbe voluto aiutare Domenico Maccarone, il quale aveva comprato dei mobili in occasione del matrimonio della figlia, a saldare il debito e, per fare ciò, aveva fatto da intermediario tra lui e mio padre – rivela Giampà – per la vendita di un gregge di capre”.

Giampà sul luogo della strage. La mattina del bagno di sangue, Pasquale Giampà ed il padre si recano quindi a Vibo Valentia in contrada Cocari “per portare dieci milioni di lire a Maccarone per l’acquisto delle capre, ma arrivati in prossimità dell’ovile – ricorda il collaboratore di giustizia –  abbiamo trovato una carneficina. Oltre a Maccarone – dichiara Giampà – credo abbia perso la vita anche un suo genero. Lele Cracolici, “Palermo”, mi disse che Alfredo Cracolici si era accorto della discussione al bar tra Maccarone e il fratello Francesco e che l’unico responsabile di quella strage era proprio Alfredo. Questo – conclude il pentito – me lo disse qualche giorno immediatamente dopo il fatto, quando siamo tornati a portare i soldi delle capre che consegnammo a lui”.

Queste le dichiarazioni inedite di Pasquale Giampà che, unite a quelle rilasciate negli scorsi anni su tale fatto di sangue dal pentito Gerardo D’Urzo – autore della strage dell’Epifania di Sant’Onofrio nel 1991 – il quale aveva chiamato in causa i Matina ed i Petrolo per le armi fornite ai Cracolici, potrebbero permettere di riscrivere uno dei casi di cronaca più eclatanti degli ultimi 30 anni.

Alfredo Cracolici è stato a sua volta ucciso l’8 febbraio 2002, mentre Raffaele Cracolici (in foto), invece, è stato trucidato a Pizzo Calabro il 4 maggio 2004 dal clan Bonavota che si sarebbe appoggiato per compiere l’omicidio ad Andrea Mantella e Francesco Scrugli.

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