venerdì,Marzo 29 2024

Confindustria Vibo dopo l’ennesima minaccia: «Serve nuova energia contro l’assuefazione»

Accorato intervento dell’associazione vibonese degli industriali in seguito all’intimidazione al presidente Ance Gaetano Macrì: «Siamo la paura che non combattiamo, e saremo soccombenti se ci isoliamo»

Confindustria Vibo dopo l’ennesima minaccia: «Serve nuova energia contro l’assuefazione»

«In questa terra, nulla sembra destare più attenzione o preoccupazione, non si esprime più nemmeno la partecipazione civile, le attestazioni di solidarietà o l’indignazione. È segno che una comunità ha paura o che sta per essere travolta definitivamente dalla rassegnazione. La peggiore delle sventure che la possa colpire. Noi imprenditori non ci siamo affatto abituati, tantomeno assuefatti a questo stato di cose, sappiamo bene che la sconfitta inizia quando si pensa che il problema sia di qualcun altro, sappiamo che non bisogna attendere di trovarsi coinvolti, sappiamo che è tardi quando il bersaglio colpito diventa la propria sfera di libertà».

Sono queste le parole che Confindustria Vibo Valentia usa per descrivere lo stato d’animo degli imprenditori vibonesi all’indomani dell’intimidazione subita dal presidente Ance Gaetano Macrì, che si è visto recapitare una bottiglia contenente benzina e un accendino davanti alla sua struttura ricettiva di Zambrone.

«Disperato e vile criminale – l’autore del gesto per gli imprenditori -, che ha pensato di intimorire con il solito messaggio, la libertà dell’imprenditore e collega. Questo episodio – proseguono -, ultimo in termini di tempo, non è più o meno grave di altri, non è indirizzato ad un simbolo o ad una istituzione, non rappresenta una novità per modalità e non segue o precede altri atti nella vita aziendale recente. Eppure, questo singolo atto incarna la vera natura di questo paludoso contesto in cui nessuno e tutti sono vittime e carnefici, ed è destinato ad assurgere a notizia di cronaca per il breve lasso di tempo di una “condivisione” o di un “like”, ovvero la solidarietà virtuale al tempo dei social network».

Il nocciolo della questione è, ovviamente, un altro. «Se questo territorio vive questo collasso, questa paura, appare chiaro che nessuno possa sentirsi al sicuro, come nessuno possa veramente pensare, allo stesso tempo, di non esserne, almeno in parte, responsabile. Siamo la paura che non combattiamo. Siamo e saremo soccombenti se ci isoliamo, se desideriamo che il nostro vicino fallisca nella sua impresa, se pensiamo “tanto peggio tanto meglio”, se lasciamo che la paura ci faccia dire o pensare “quello che è successo, in fondo, se l’è andato a cercare”. Si, è vero, ce lo siamo andati a cercare, ci siamo messi in testa di fare, di fare impresa e di farla qui. Anche contro quelli che pensano che tutto è corrotto, tutto è criminalità, tutto fa schifo e che non vale la pena di impegnarsi, di fare. Noi no. Noi crediamo che le cose cambiano, che sono già cambiate, che ci sono persone che meritano oggi solidarietà e vicinanza perché rappresentano quella speranza, che mettono in pratica quotidianamente. Quella speranza che diventa certezza che deve insegnarci a dire la parola “no”. Gli uomini che rappresentano lo Stato, questo lo sanno, sanno cosa significa dire “no”. “No” alla velata richiesta, alla leziosa proposta di facili soluzioni di problemi che facili da risolvere non sono, no agli alibi del tipo “tanto lo fanno tutti”. Questi no, costano. Rappresentano autonomia ed indipendenza, qualità odiate dalla criminalità, e questo la burocrazia corrotta lo sa, la politica deviata lo sa, l’imprenditoria deviata, lo sa. Per cui, meglio stare zitti e guardare, rimanendo sotto traccia e sperando che succeda sempre a qualcun’altro. A qualcuno che, in fondo, se l’è andata a cercare, quella maledetta cosa che si chiama libertà».

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