martedì,Aprile 23 2024

‘Ndrangheta: processo troppo lungo, la Cassazione accoglie il ricorso di Luigi Mancuso

La Corte d’Appello di Salerno dovrà riesaminare la domanda di indennizzo a titolo di equa riparazione dopo l’assoluzione a Vibo del boss di Limbadi nel processo “Genesi”

‘Ndrangheta: processo troppo lungo, la Cassazione accoglie il ricorso di Luigi Mancuso
La Cassazione e nel riquadro Luigi Mancuso

Dovrà essere una nuova sezione civile della Corte d’Appello di Salerno a procedere ad un nuovo esame della domanda del boss di Limbadi Luigi Mancuso, 64 anni, che ha chiesto al Ministero della Giustizia il pagamento di un indennizzo a titolo di equa riparazione dell’irragionevole durata del processo “Genesi” concluso a Vibo Valentia nel maggio del 2013 a 13 anni di distanza dalle ordinanze di custodia cautelare e dal blitz della Dda di Catanzaro.

Il ricorso era stato presentato il 14 febbraio del 2014, ma i giudici avevano rigettato la domanda in quanto non risultava presentata l’istanza di accelerazione voluta da una legge del 2001. Luigi Mancuso aveva proposto opposizione avverso tale decisione, ma anche la Corte d’Appello di Salerno in composizione collegiale aveva rigettato la domanda di Mancuso. 

Da qui il ricorso in Cassazione del boss di Limbadi, accolto dalla sesta sezione civile che ha affermato un principio di diritto. “In tema di equa riparazione per l’irragionevole durata di un procedimento penale”, la disposizione di legge secondo la quale non è riconosciuto alcun indennizzo “quando l’imputato non ha depositato istanza di accelerazione del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento dei termini cui all’articolo 2-bis, non è applicabile in relazione alle domande di equa riparazione relative a procedimenti penali che, alla data di entrata in vigore della stessa, avessero già superato la durata ragionevole di cui all’art. 2-bis della medesima legge”.

Per tali motivi, la Cassazione ha annullato la decisione della Corte d’Appello di Salerno di respingere il ricorso di Luigi Mancuso, con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Salerno affinchè – in diversa composizione – proceda ad un nuovo esame della domanda alla luce del principio di diritto affermato dalla Suprema Corte. 

Cronistoria degli eventi. Luigi Mancuso, al pari di oltre 40 indagati, era stato rinviato a giudizio nel 1998 nell’ambito dell’operazione “Metropolis” della Procura di Vibo Valentia all’epoca diretta da Alfredo Laudonio. Gli venivano contestati reati in materia di traffico di stupefacenti ed estorsione sulla scorta delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia di San Giovanni di Mileto, Michele Iannello, killer del piccolo Nicolas Green, il bimbo americano ucciso nel settembre del 1994 sull’autostrada. Contro Luigi Mancuso, anche le dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia come Gaetano Albanese, Pino Morano, Annunziato Raso ed altri. Non veniva contestata però l’accusa di associazione mafiosa. 

Nel 1999, quindi, l’allora presidente del Tribunale collegiale di Vibo, Giuseppe Vitale, con propria ordinanza – all’esito dell’esame di alcuni collaboratori di giustizia – ha interrotto il processo “Metropolis” per l’emergere di un’associazione mafiosa, trasmettendo tutti gli atti alla Dda di Catanzaro competente funzionalmente. All’inchiesta “Metropolis” è stata poi unita quella denominata “Alba”, già coordinata dalla Dda di Catanzaro che, nell’agosto del 2000 con l’allora pm Luciano D’Agostino, ha fatto scattare l’operazione denominata “Genesi” contro i clan Mancuso di Limbadi, Prostamo-Pititto di San Giovanni di Mileto, Galati di Mileto, Soriano di Filandari e Morfei di Dinami.  

L’inchiesta “Genesi” è rimasta però per oltre tre anni pendente al Tribunale di Catanzaro in attesa di trovare un gip distrettuale compatibile alla trattazione del rinvio a giudizio. In primo grado la sentenza dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia è arrivata nel maggio del 2013 con l’assoluzione di Luigi Mancuso per “ne bis in idem”, in quanto già giudicato e condannato per i medesimi fatti e reati dalla Corte d’Assise di Palmi nell’ambito del processo nato dall’operazione antimafia denominata “Tirreno”

L’allora procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, Giuseppe Borrelli, ed il pm Simona Rossi, al termine di due giorni di requisitoria, avevano chiesto per Luigi Mancuso la condanna a 27 anni di carcere. 

L’assoluzione, decisa dal Tribunale collegiale di Vibo presieduto da Antonio Di Marco con a latere i giudici Alessandro Piscitelli e Manuela Gallo, non è stata poi appellata dalla Dda di Catanzaro – nonostante nelle motivazioni della sentenza oltre 10 collaboratori di giustizia che hanno deposto nel processo non vengano neppure menzionati dai giudici – divenendo così definitiva.

Luigi Mancuso viene ritenuto uno dei personaggi principali dell’intera ‘ndrangheta calabrese, con molteplici rapporti con i più potenti clan del reggino, del crotonese, del lametino e del cosentino. Pur essendo il più piccolo della c.d. “generazione degli 11”, fra fratelli e sorelle, avrebbe ereditato il “bastone” del comando dell’omonimo clan direttamente dal fondatore storico del clan, ovvero il fratello Francesco Mancuso (cl. ’29), detto “Ciccio”, quest’ultimo deceduto nel 1997 per un male incurabile. Luigi Mancuso è ritornato in libertà nel 2012 dopo aver scontato 19 anni di reclusione per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti, condanne rimediate al termine dei processi “Tirreno” e “Count down”, quest’ultimo celebrato a Milano. 

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