di Alessia Truzzolillo

Lo definisce un «patto di cooperazione» quello tra gli imprenditori di Pizzo Emanuele e Francescantonio Stillitani e le cosche di riferimento. Di più, nel corso della requisitoria del processo Imponimento, istruito dalla Dda di Catanzaro contro la cosca Anello-Fruci e i suoi sodali, il pubblico ministero Antonio De Bernardo ritiene che la «contestazione di concorso esterno per gli Stillitani è stata troppo prudente». Spiega, nel corso della sua lunghissima requisitoria come si fosse creato tra gli imprenditori e la ‘ndrangheta quello che in gergo tecnico viene definito un rapporto sinallagmatico. In una parola un rapporto di reciproco vantaggio: «Ha un problema Stillitani si rivolge alla cosca, ha un problema la cosca si rivolge a Stillitani». E chi si mette in mezzo, citando Manzoni, è un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro.

Gli affari delle cosche

I villaggi turistici degli Stillitani diventano affare per le cosche, così come la campagna elettorale per l’ex assessore regionale Francescantonio Stillitani diventa incombenza delle cosche e altrettanto tutti coloro che si mettono in mezzo agli interessi degli imprenditori. Come è il caso di Michele Marcello e di sua figlia, due persone che il pm non esita a definire «fiaccate dai maltrattamenti subiti». Due vasi di coccio che hanno testimoniato al processo con voce rotta e gli occhi ancora segnati dalle traversie. Due imprenditori che avevano il desiderio di creare un lido, un chiosco sulla spiaggia ma hanno avuto la sventura di piazzarlo andando a intralciare – è la tesi accusatoria – le attività del villaggio di Pizzo. Pizzo e Maierato erano terra di conquista tra Mancuso e Cracolici. Uccisi i Cracolici i Mancuso si riprendono il loro potere. Rocco Anello soffriva che i Mancuso fossero arrivati fino a Pizzo da Limbadi e certamente non poteva accettare una situazione analoga nel villaggio turistico di Acconia, non certo dentro casa sua. Continua a leggere su LaCnews24.it

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