La Suprema Corte respinge il ricorso della parte civile. Il sinistro si è verificato nel marzo del 2018 ed a perdere la vita è stato il 63enne Francesco Scevola
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Resta confermata l’assoluzione di Gaetano Meduri, 32 anni, di Pizzo, accusato del reato di omicidio stradale. La quarta sezione penale della Cassazione ha infatti dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla parte civile Maria Teresa Scevola, sorella di Francesco Scevola, il 63enne di Pizzo deceduto l’1 marzo del 2018 a seguito di un incidente stradale lungo la Statale 18 nei pressi di Acconia di Curinga. Il ricorso in Cassazione era stato presentato ai soli effetti civili avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro, a sua volta confermativa del verdetto del Tribunale di Vibo del 20 dicembre 2022 che aveva assolto l’imputato “perché il fatto non sussiste”.
Francesco Scevola si trovava alla guida di una Hyundai I10 e si era scontrato frontalmente l’1 marzo 2018 con la Fiat 500 condotta da Gaetano Meduri. Le condizioni di salute di Scevola erano apparse subito gravi, venendo trasportato prima all’ospedale di Lamezia Terme con l’elisoccorso e poi a Catanzaro dove era spirato al suo arrivo al Pugliese. È rimasto accertato che la strada era priva di segnaletica orizzontale, ma sulla scorta delle consulenze tecniche il giudice di primo grado era pervenuto alla conclusione che fosse impossibile stabilire con precisione il punto d’urto, genericamente indicato “verso il centro della strada, senza che tuttavia si potesse accertare se nella corsia di pertinenza dell'imputato o della persona offesa”. Si trattava di un punto decisivo, in quanto il tema del giudizio verteva sulla “corretta condotta di guida rappresentata dal tenere la destra della carreggiata”.
Non era stato ritenuto rilevante neppure il superamento, da parte dell'imputato, del limite di velocità e i giudici di merito avevano pertanto concluso “per l'assenza di prova a carico dell'imputato, al di là di ogni ragionevole dubbio”. La Cassazione nel respingere il ricorso ricorda inoltre che, sulla base di quanto affermato da tutti i consulenti, “la causa del sinistro non era da ricondurre alla velocità ma alla posizione reciproca dei veicoli - rispetto ai quali non è stato possibile ricostruire il punto d'urto - che provocò l'impatto in un tratto di strada a scarsa visibilità, caratterizzato dalla presenza di un dosso e da restringimento di carreggiata”. La Procura di Vibo in primo grado aveva chiesto la condanna dell’imputato a 2 anni.

