giovedì,Marzo 28 2024

Intervista al fotografo Jacques Renoir in visita a Capistrano (VIDEO)

Erede diretto di Pierre Auguste, maestro francese dell’Impressionismo che nella chiesa del centro del Vibonese ha rifatto il “Battesimo di Cristo”

Intervista al fotografo Jacques Renoir in visita a Capistrano (VIDEO)

di ANDREA FERA È forte il legame tra il grande maestro francese dell’Impressionismo, Pierre Auguste Renoir, e la Calabria. Un legame instauratosi più di mezzo secolo fa e proseguito nel tempo, grazie al ruolo che Capistrano, comune dell’entroterra vibonese, svolge con la presenza, nella chiesa matrice, del “Battesimo di Cristo”, una pittura murale il cui rifacimento è attribuibile a P.A. Renoir. Il grande pittore è passato dalla Calabria nel 1881 (come racconta suo figlio, il regista Jean, nella biografia ufficiale del pittore, “Renoir mio padre”), facendovi una tappa intermedia del suo viaggio da Napoli a Palermo. La vicenda Renoir in Calabria è un fatto arcinoto, sollevato nel 1966 dallo scrittore Sharo Gambino e da altri protagonisti che affrontarono la questione, primo tra tutti il pittore Franco Natale. La presenza di Renoir pittore è costantemente percepibile nel piccolo borgo. Ancor di più, quando si verificano eventi particolari che nascono dalle sinergie del potenziale giovane del luogo, nel caso specifico del sindaco Marco Martino e della presidente della Pro-loco, Maria Stella Francolino. Parliamo del conferimento della cittadinanza onoraria ad un erede diretto di Pierre Auguste, il fotografo e direttore della fotografia di fama internazionale, Jacques Renoir, pronipote del maestro dell’Impressionismo, giunto da Nizza a Capistrano assieme alla moglie Claude, per trascorrere una breve vacanza. Appare superfluo elencare le collaborazioni con registi e le numerose esposizioni di foto artistiche di Jacques Renoir. Ciò che colpisce, e che si vuole riportare, è la grande dote umana dell’umiltà che abbiamo potuto percepire incontrandolo.

Lei è un grande fotografo, ma anche un direttore della fotografia. Qual è, nello specifico, il ruolo del direttore della fotografia? «Spesso si tende a confondere il fotografo con il direttore della fotografia. Sono due figure differenti. Il direttore della fotografia, in un film, è il responsabile dell’immagine. Significa che dirige una squadra di ripresa e lavora in sintonia col regista, per tradurre in immagine un testo scritto».

Lei nasce principalmente come fotografo. Come si è avvicinato al mondo del cinema? «Tanto la fotografia quanto il cinema presentano tratti in comune. Si lavora con camere, obiettivi, pellicole. Sono sempre stato interessato all’immagine in generale. Dunque, il passaggio da fotografo a direttore della fotografia è, in qualche modo, naturale, sebbene vi siano enormi differenze. La fotografia è immagine fissa, senza il sonoro. Il cinema tratta l’immagine in movimento, con il sonoro».

Nel cinema, il direttore della fotografia è abbastanza libero oppure il regista gli impone delle linee guida? «È un lavoro di collaborazione. Tutto dipende dal mettere insieme ciò che interessa alla direzione del film e alla regia, al fine di tradurre le giuste emozioni al pubblico».

Di solito, lei interviene anche nella scelta delle location? «La scelta della location è molto importante e si lavora sullo studio dello scenografo. Spesso si prediligono i “luoghi naturali”, i luoghi veri. Non solo all’aperto, ma anche al chiuso, come appartamenti, chiese, etc. Luoghi, insomma, già esistenti e non ricostruiti ai quali si adatta naturalmente la messa in scena, e nei quali è altresì possibile sfruttare la luce naturale. Perciò i registi, a seconda delle situazioni, possono far prevalere la loro scelta, così come possono accettare consigli di scelte differenti rispetto a quelle originarie».

L’immagine è l’espressione massima della sua professione/arte. Che cos’è, per lei, l’immagine? «L’immagine è la traduzione da una realtà ad un’altra. È il passaggio da cose esistenti che, opportunamente interpretate, divengono altro. L’immagine, per me, è lo sguardo al di là dello sguardo».

Lei vanta una lunga esperienza a fianco di Jacques Yves Cousteau, a bordo della nave/laboratorio “Calypso”. Cousteau ha inventato un nuovo tipo di comunicazione scientifica, permettendo a tutti di visitare, attraverso la televisione, la vita che sta sotto la superficie oceanica e non solo. In tal senso, si parla di “divulgazionismo”, ovvero una forma semplice di condivisione dei concetti scientifici, resi fruibili al vasto pubblico. Un lavoro che, però, gli causò anche qualche attrito con il mondo accademico. Lei si sente parte integrante del lavoro divulgativo di Cousteau? «Certamente. È molto importante aprire l’universo scientifico al grande pubblico. I documentari di “divulgazionismo” devono essere anche dei film-spettacolo. E l’arte di Jacques Yves Cousteau, per chi l’ha ben compresa è proprio questo. Il giusto compromesso tra divulgazione scientifica e spettacolo. Bisogna che lo spettatore si proietti nell’Universo e partecipi ad esso».

Questa è la prima volta per lei in Calabria? «Sì. Con mia moglie Claude avevamo visitato altre regioni dell’Italia Meridionale, la Puglia, la Basilicata e la Sicilia, ma mai la Calabria. Quest’anno abbiamo deciso, senza esitazioni, di trascorrere la nostra unica settimana di ferie qui in Calabria e, in particolare, a Capistrano».

Quando ha appreso della vicenda Renoir in Calabria? «Ne venni a conoscenza grazie a Maria Stella (Francolino presidente pro-loco, ndr), durante una sua visita ad Essoyes, in Francia, paese natale di Aline Charigot, moglie di P.A. Renoir, nel quale assieme a lei riposa il mio bisnonno Pierre Auguste».

Il suo bisnonno, P. A. Renoir, dei calabresi diceva che erano «generosi e allegri nella loro miseria». Anche “Le Monde”, circa due mesi fa, ha definito la Calabria «Povera, bella e sconvolgente». Come ha trovato, lei, la Calabria è i calabresi? «Confermo quanto detto dal mio bisnonno. Il calabrese è molto ospitale. Ma penso, altresì, che la Calabria, in rapporto alle sue potenzialità, potrebbe avere il giusto sviluppo economico, se si riuscissero a realizzare le diverse infrastrutture di cui avrebbe bisogno».

Che impressione ha avuto, osservando il “Battesimo di Cristo”? È riuscito a vedere la mano del suo antenato in questa pittura? «È una questione delicata perché, se Renoir ha rifatto questo dipinto, ha sicuramente rispettato lo stile di quello già esistente. Dunque, non si può vedere immediatamente lo stile di Renoir, dal momento che si tratta di un restauro. Non posso nemmeno nascondere, però, di aver ravvisato le tonalità di Renoir.»

Ha intenzione di sposare la causa Renoir in Calabria? Se sì, cosa intende fare? «Sono stato spesso sollecitato ad esprimermi in merito, da molte persone. Non sono un esperto. Conosco molto bene l’Opera di Renoir, ma non sono un esperto. Sul dipinto devono essere condotti degli studi seri, serve una expertise (indagine di autenticazione, ndr) che possa, eventualmente, certificare lo stile di Renoir. Anche a livello storico, manca una documentazione epistolare del soggiorno calabrese di Renoir il quale, questo è certo, è sicuramente venuto in Calabria. Comunque, è mia intenzione sottoporre la questione ad un esperto della pittura di Renoir».

Oggi lei diventa un cittadino capistranese. Cosa si sente di dire agli abitanti di Capistrano? Pensa di ritornarci? «Per me è un grande piacere. Ci tornerò di certo. Ma spero anche che tanti cittadini capistranesi possano venire a visitare Nizza, la mia città di residenza».

Quali progetti ha per il suo futuro professionale? «Per il mese di ottobre è in progetto un’esposizione a Monaco, dove sarò ospite d’onore. I progetti a lungo termine sono tutti focalizzati sulle esposizioni fotografiche».

Ci congediamo augurando un grande “In bocca al lupo” a Jacques Renoir, nonostante le oggettive difficoltà di tradurre in francese questa formula di augurio tutta italiana. Ma, forse, il problema non si pone, perché Jacques Renoir, da oggi, è un cittadino di Capistrano.

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