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Francavilla, Giovanni e il suo zibibbo premiato anche dal New York Times – Video

Suo padre lasciò la Calabria negli anni Sessanta, lui è tornato nelle terre che erano del nonno e ha fatto rivivere i suoi vigneti. Oggi le Cantine Benvenuto sono conosciute in tutto il mondo

Francavilla, Giovanni e il suo zibibbo premiato anche dal New York Times – Video

di Saverio Caracciolo

Marco Benvenuto aveva appena 13 anni quando, nel 1963, lasciò la sua Pizzo, e di conseguenza la Calabria, per trasferirsi a Roma in cerca di fortuna. Nella capitale iniziò a lavorare come apprendista falegname e successivamente come fabbro, per poi trasferirsi in un piccolo borgo dell’Abruzzo, Tagliacozzo, dove conobbe quella che sarebbe diventata sua moglie e che gli avrebbe regalato due figli: Antonello e Giovanni Celeste.
Durante il periodo estivo, Marco tornava sempre in Calabria per trascorrere le vacanze tra Pizzo e Francavilla Angitola, nel Vibonese, e proprio qui il figlio Giovanni iniziò a sentire forte il legame con questa terra, fino a quando, all’età di 18 anni, non decise di trasferirsi definitivamente a Francavilla, mentre portava avanti gli studi in Scienze e tecnologie agraria all’università di Reggio Calabria, dove si laureò nel 2007.

Durante il tempo libero, Giovanni era solito recarsi nelle terre dove il nonno Iconio aveva trascorso la sua vita a coltivare le vigne, iniziando così a recuperare lo zibibbo in via di estinzione.
Oggi quelle vigne sono rinate grazie alla passione e all’amore di Giovanni, ma soprattutto per la sua capacità di guardare la Calabria con gli occhi del cuore, una terra da scoprire e valorizzare. Oggi la sua cantina, grazie all’aiuto dei genitori e del fratello Antonello, non produce solo vino, ma anche grappa e birra, tutto a base di zibibbo.

Tra i ricordi di Giovanni, il meno piacevole è sicuramente legato all’ottenimento dell’autorizzazione a vinificare lo zibibbo da parte della Regione Calabria: per averla ci sono voluti ben undici anni, un lasso di tempo che avrebbe scoraggiato chiunque. La caparbietà di Giovanni, però, gli ha permesso di raccogliere i frutti dei suoi sacrifici: nel maggio del 2020, infatti, il New York Times ha menzionato un suo vino tra i primi dieci d’Italia.

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