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Turismo esperienziale, il progetto del ricercatore Varrà per il recupero delle case in terra cruda

Il futuro ha un cuore antico. Ne è convinto il giovane professionista di Zambrone che mira alla valorizzazione dei vecchi casolari simbolo dei panorami dell’area del Poro e delle Serre: «Con la loro bellezza raccontano il territorio»

Turismo esperienziale, il progetto del ricercatore Varrà per il recupero delle case in terra cruda

Un’idea di turismo capace di mettere al centro enogastronomia, ambiente, storia e architettura. Un diverso modo di intendere il viaggio, che diventa “esperienziale” e si connette al territorio. Sono questi gli elementi alla base della progettazione turistica territoriale sostenibile portata avanti da Antonio Varrà. Il professionista, originario di Zambrone, attivo nel settore turistico nonché referente dell’associazione Mare vitae, si occupa di viaggi esperienziali in Calabria e più specificatamente nel territorio vibonese: «Questo mio progetto – spiega – nasce seguendo le linee dettate dal Parlamento europeo in merito alle forme che il turismo deve assumere. Un ruolo di primo piano viene assunta dall’architettura dimenticata che potrebbe divenire il simbolo della “calabresità”». L’esempio è semplicissimo: «Tutti conoscono i trulli, indentificano una intera regione. Stessa cosa potrebbe accadere con le case in terra cruda capaci di raccontare un intero comprensorio». Non a caso Varrà parla di “Ecoturismo in terra cruda”. [Continua in basso]

Come è cambiato il turismo

Negli anni il turismo ha subito grandi cambiamenti. Specie dopo l’esperienza Covid, il viaggiatore ha modificato il modo di “vivere” un luogo: «Anche in Italia e in Calabria stiamo avvertendo una volontà pubblica e privata di recuperare l’identità, storico-artistico, enogastronomica e delle tradizioni popolari, che hanno caratterizzato e, in determinati contesti, caratterizzano tutt’ora l’identità di un territorio. Da subito – spiega Varrà- l’attenzione si è posta sulla necessità di programmare in termini di nuove strategie turistiche, creando un modello capace di realizzare un incremento di risultati in chiave sia economica sia sociale, nell’ambito di un comparto turistico in forte crescita».

Il ricercatore Varrà e una casa rurale a Zambrone

Ad oggi, il viaggiatore «cerca contenuti culturali, enogastronomici e ambientali capaci di soddisfare la conoscenza di un luogo a trecentosessanta gradi. È questo il concetto che sta alla base della nozione di turismo esperienziale. Questo nuovo concept di viaggio come esperienza nasce da un’evoluzione della figura del turista, che diviene sempre più attento ed esigente rispetto alle mete e al proprio tempo libero». Ma cosa rende il turismo “esperienziale”? «Il ritorno alla natura, il crescente interesse per tradizioni e spiritualità, l’attenzione a modelli più equilibrati di consumo, la ricerca del benessere psico-fisico si volgono naturalmente verso vacanze esperienziali, verso forme di turismo più attive, sia dal punto di vista fisico che intellettuale, e verso nuove forme di turismo, come agriturismo, percorsi naturalistici ed enogastronomici. Si assiste – aggiunge il professionista – sempre più a una ricerca di luoghi naturali, non intaccati dalla modernità, autentici, capaci ancora di mostrare un volto originario».

Architettura di terra

L’attenzione dello studio, da cui ne è nata anche la pubblicazione “Un progetto eco-turistico per la Calabria. Valorizzazione delle case in terra cruda e sviluppo del territorio”, tiene conto di una programmazione turistica che valuti «l’integrazione fra i fattori di attrattiva tipici della cultura dello stesso, come le tradizioni popolari, il comparto di produzione agricola, il patrimonio ambientale e i metodi costruttivi autoctoni presenti sul territorio». L’architettura in terra può «rappresentare per la regione Calabria una valida alternativa al turismo di massa, un’opportunità unica di valorizzazione sostenibile».

In Calabria, la testimonianza più antica dell’uso del crudo risale al VI secolo a.C. e riguarda tratti delle mura di Rhegion, Hipponion e Locri. Più tardi, nonostante il persistente susseguirsi di catastrofi naturali, quali terremoti e alluvioni, che dal Basso Medioevo all’Età Moderna hanno determinato la continua fondazione o ricomposizione di paesi e parti di essi, si continuò ad utilizzare la terra come elemento architettonico. La prova ci viene fornita anche da fonti scritte, che assieme a manufatti più recenti ci informano dell’utilizzo di tale materiale per tutto il secondo millennio, fino alla metà del 900.

Le masserie del vibonese

La ricerca di queste unità abitative, inizialmente nel comune di Zambrone, ha portato ad affermare che «l’uso della terra cruda è riscontrabile in maniera notevole in tutto l’altopiano del Poro, estendendosi fino al parco regionale delle Serre. Qui – sottolinea Varrà- la diversità delle unità in crudo, molto numerose, è giustificata dal diverso uso a cui venivano adibite. Nelle zone non urbanizzate tali architetture venivano utilizzate a uso agricolo, le cosiddette “masserie”». L’architettura che diventa, dunque, «l’anello di congiunzione tra enogastronomia, territorio e storia. Inoltre tale sviluppo architettonico segnerebbe il riavvio del mercato dell’edilizia in chiave bio e sostenibile, rilanciando uno dei settori occupazionali ed economici più importanti sul mercato. Non più un’edilizia che deturpa e snatura il territorio e l’identità, bensì – chiosa il professionista- costruzioni che valorizzano le origini e le tradizioni della regione».

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