giovedì,Marzo 28 2024

Il corsivo | L’ipocrisia della politica vibonese in cerca di “verginità”…

Al Comune di Vibo in tema di antimafia va in scena l’ennesima farsa con un Pd dalla memoria corta e consiglieri di centrodestra incapaci di vedere fra le propria fila i rapporti con boss mafiosi e aspiranti tali

Il corsivo | L’ipocrisia della politica vibonese in cerca di “verginità”…
L'aula consiliare di Palazzo Luigi Razza
L’assessore Bruni e il sindaco Limardo

Prova a dare un segnale di inversione di tendenza, il Consiglio comunale di Vibo Valentia che ieri non ha votato per la reintegra nel civico consesso del consigliere del Pd, Alfredo Lo Bianco, finito ai domiciliari nel dicembre scorso con l’accusa di scambio elettorale politico-mafioso nell’ambito dell’inchiesta “Rinascita-Scott” e poi con misura cautelare modificata in obbligo di dimora. Il Consiglio comunale – in primis la maggioranza, ma anche settori dell’opposizione – prova così a rifarsi una “verginità” che tuttavia non potrà mai avere. Attraverso un duro documento, la maggioranza che sostiene il sindaco, Maria Limardo, sulla proposta di reintegrare Alfredo Lo Bianco ha infatti parlato di scelta “gravosa che impone una profonda riflessione soprattutto da parte di chi quella reintegrazione sta richiedendo”, con un attacco quindi al Partito democratico che, dopo avere sospeso il consigliere per via della misura cautelare e del codice etico del Pd, “oggi sceglie inspiegabilmente – hanno scritto i consiglieri di maggioranza – di sacrificare quegli stessi principi in nome di una reintegra almeno inopportuna”. La maggioranza, seguita da diversi consiglieri di opposizione, è quindi uscita dall’aula consiliare sdegnata – sindaco Maria Limardo in testa – mentre il presidente del Consiglio comunale, Rino Putrino (Forza Italia), leggeva il documento della maggioranza. [Continua]

Dal canto suo, il Pd con il segretario provinciale Enzo Insardà, il segretario cittadino Francesco Colelli e il capogruppo Stefano Luciano, hanno tentato di uscire dall’angolo ricordando alla maggioranza che si tratta di una “questione meramente giuridica e non politica” e la reintegra è imposta dalla legge, non essendo stata chiesta dal Partito democratico, mentre Alfredo Lo Bianco ha chiesto di voler aderire al gruppo misto. Naturalmente, come spesso accade a Vibo Valentia, la verità sta nel mezzo e la propaganda politica ha preso il posto dell’onestà intellettuale. Perché è assolutamente vero – come sostiene il Pd – che la questione del reintegro di Alfredo Lo Bianco in Consiglio comunale è soprattutto giuridica, visto che il 12 giugno scorso è stato il prefetto di Vibo, Francesco Zito, a inoltrare al Comune “l’intervenuta cessazione della causa di sospensione dalla carica di consigliere comunale” di Alfredo Lo Bianco (avendo il gip distrettuale disposto per lui la misura cautelare dell’obbligo di dimora nel comune di residenza in luogo degli arresti domiciliari), ma è anche vero che lo stesso Pd vibonese non può esimersi da alcune considerazioni meramente politiche alla luce di quanto dallo stesso partito messo nero su bianco.

Alfredo Lo Bianco

L’1 aprile scorso, infatti, il Pd vibonese  alla notizia della revoca dei domiciliari per Alfredo Lo Bianco ed alla sostituzione della misura cautelare con l’obbligo di dimora – con una nota firmata dal coordinamento cittadino del Pd vibonese, guidato da Francesco Colelli, e dal gruppo consiliare del Partito democratico al Comune capitanato dal già candidato sindaco Stefano Luciano, avvocato dello stesso Lo Bianco in tale vicenda giudiziaria – affermava testualmente: «Accogliamo con favore la riconquista della libertà individuale del consigliere comunale Alfredo Lo Bianco. Crediamo che l’intero consesso comunale, il Pd e la comunità cittadina possano beneficiare del contributo di Lo Bianco, la cui storia personale e politica testimonia il suo amore per il popolo vibonese e la sua sensibilità verso gli ultimi. Il nostro Statuto prevede il reintegro a tutti gli effetti nella comunità del Pd di Alfredo Lo Bianco, che nel prossimo Consiglio comunale siederà regolarmente tra i banchi della minoranza e tra le fila del gruppo consiliare».

Il Pd vibonese dalla memoria corta, quindi, tre mesi fa non solo accoglieva “con favore” la revoca degli arresti domiciliari per Alfredo Lo Bianco e non solo lo reintegrava “a tutti gli effetti nella comunità del Pd” – per come gli stessi scrivevano – ma non si faceva alcun problema ad accoglierlo anche tra le fila del gruppo consiliare. Oggi, invece, lo stesso Pd vorrebbe catalogare la vicenda del reintegro in Consiglio come esclusivamente giuridica, sorvolando sulle considerazioni politiche e dimenticando quanto dallo stesso Partito democratico sostenuto ad aprile e quasi sottolineando che Alfredo Lo Bianco ha chiesto di aderire al gruppo misto.

Dall’altro lato – quello della maggioranza che sostiene il sindaco Maria Limardo – quanto ad ipocrisia non si è da meno. Se è infatti vero che – almeno allo stato – solo il consigliere comunale Alfredo Lo Bianco è stato attinto da una misura cautelare nell’ambito dell’inchiesta “Rinascita-Scott”, non si può far finta di non sapere che gli stessi atti di indagine evidenziano anche i rapporti compromettenti di diversi consiglieri comunali di maggioranza con pluripregiudicati, boss mafiosi e aspiranti tali. Non solo. Nella stessa giunta guidata dal sindaco Maria Limardo, uno dei suoi assessori è cognato di un indagato per associazione mafiosa (marito della sorella), ritenuto dalla Dda associato al clan Bonavota di Sant’Onofrio, nei cui confronti sono state ora chiuse (al pari di altri 478 indagati) le indagini preliminari. Certo, la responsabilità penale è personale e in uno Stato di diritto vige la presunzione di innocenza sino a sentenza definitiva, ma dinanzi a legami parentali scomodi ed ad un’inchiesta antimafia epocale per Vibo Valentia ci si aspetterebbe ben altre prese di posizione oltre alle sin troppo facili sfilate accanto a Libera. Se poi si vanno ad esaminare le figure di alcuni consiglieri di maggioranza, la situazione è davvero imbarazzante e ben si comprende come i sostenitori dell’attuale amministrazione comunale non possano di certo dare lezioni di antimafia a questo o quel partito, né essere da esempio per la comunità.

Carmelo Lo Bianco

Un consigliere comunale di maggioranza (capogruppo) è stato infatti intercettato (e la conversazione è agli atti sia dell’inchiesta “Nuova Alba” del 2007 contro il clan Lo Bianco, sia di “Rinascita-Scott”) mentre si recava al matrimonio del figlio di un esponente apicale del clan Barba in compagnia di Carmelo Lo Bianco, alias Sicarro, boss di prima grandezza dell’intera consorteria mafiosa di Vibo Valentia, deceduto nel dicembre 2016. Il consigliere comunale nei dialoghi intercettati mostra una tale confidenza con Carmelo Lo Bianco che il boss lo rende partecipe di vicende assolutamente riservate: dalla sparizione del figlio (Nicola Lo Bianco) per lupara bianca al ruolo del boss di Tropea Antonio La Rosa e dell’imprenditore Gianfranco Ferrante (arrestati, da ultimo, in Rinascita-Scott). Particolare non secondario: all’epoca delle intercettazioni fra Carmelo Lo Bianco e l’attuale consigliere comunale, il boss era già un pluripregiudicato, da poco uscito di galera dopo aver scontato una condanna per riciclaggio di denaro proveniente da due sequestri di persona compiuti negli anni ’80 nel Reggino.

C’è poi il consigliere comunale di maggioranza che, nelle precedenti vesti di assessore nella giunta guidata da Elio Costa, è stato invece intercettato mentre discute dell’organizzazione di vari festeggiamenti, sagre e sfilate di carnevale con colui che viene indicato come il capo ‘ndrina di Vibo Marina. Non manca quindi il consigliere comunale imparentato con la famiglia Barba, il consigliere comunale intercettato al telefono con altro arrestato di spicco dell’operazione “Rinascita-Scott”, il consigliere comunale il cui marito è indagato nell’inchiesta “Waterfront” della Dda di Reggio Calabria e il consigliere comunale “beccato” al telefono con un soggetto ritenuto elemento di spicco del clan dei Piscopisani (ed accusato nell’inchiesta “Rimpiazzo” di associazione mafiosa e narcotraffico).

Stando così le cose – e così stanno – diviene davvero difficile per l’attuale maggioranza a “palazzo Luigi Razza” (pur non volendo fare di tutta l’erba un fascio) poter dare lezioni di antimafia al Pd o volersi dimostrare diversi. Uscendo dall’aula per non votare la reintegra di Alfredo Lo Bianco, ma mettendosi il “prosciutto” sugli occhi dinanzi ad alcuni dei loro consiglieri, hanno anzi chiarito una volta per tutte i “limiti” della propria azione politica e dell’impegno antimafia: “Ci teniamo tutto e tutto va bene sin quando uno dei nostri non è colpito da misure cautelari”. Intrattenere infatti rapporti con Carmelo Lo Bianco, con colui che viene indicato come il capo ‘ndrina di Vibo Marina (Antonio Vacatello) o con l’esponente del clan dei Piscopisani (Benito La Bella) vale il silenzio da parte di tutti i consiglieri comunali e della politica cittadina. E per fortuna che gli stessi consiglieri comunali di maggioranza e lo stesso sindaco Maria Limardo hanno invitato – nel documento da loro sottoscritto – il Partito democratico a «spiegare ai cittadini l’opportunità di tale scelta e di recuperare il buon senso»… Ecco, magari quando avranno tempo, gli stessi consiglieri di maggioranza ed il sindaco – a proposito di buon senso – se spiegheranno ai cittadini quanto è opportuno annoverare fra le proprie fila determinati consiglieri comunali che si sono interfacciati con boss mafiosi e aspiranti tali, faranno cosa buona e giusta. Anche perché non è affatto detto che alcuni di quei consiglieri di maggioranza – che in maniera opportunistica sono ieri usciti dall’aula – non possano presto ritrovarsi nelle stesse condizioni di Alfredo Lo Bianco.

Per ora – nel silenzio della maggioranza sui propri componenti (alcuni dei quali nella scorsa consiliatura militanti proprio del Pd) e con un Partito democratico che ha aperto le porte a gente come Alfredo Lo Bianco che nel 2015 era stato eletto a sostegno di Elio Costa – l’ipocrisia della politica vibonese è servita.

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