L’EDITORIALE | Il procuratore, il prefetto e la “latitanza” della politica
Se neppure l’arrivo di due pezzi da novanta come Bruno Giordano e Giudo Longo alla guida di due importanti presidi istituzionali, fa alzare dalla sedia i politici vibonesi… qualche domanda bisognerà pur porsela. Dimenticanza o imbarazzo? Di certo un’occasione persa…
Se neppure l’arrivo di un pezzo da novanta della magistratura calabrese come Bruno Giordano, che si insedia ufficialmente alla guida della Procura della Repubblica, suscita l’interesse della politica vibonese, qualche domanda bisognerà pur porsela.
Se neppure l’arrivo a Vibo dell’uomo che da pm a Reggio visse gli ultimi fuochi della prima guerra di ‘ndrangheta e indagò sulle centinaia di omicidi che segnarono la seconda; del magistrato che ottenne l’arresto dei boss di Cosa nostra per l’omicidio del collega e amico Nino Scopelliti; se neppure questo curriculum merita l’attenzione dei rappresentanti del popolo vibonese, qualche quesito sorgerà spontaneo.
Se poi, nemmeno il contemporaneo approdo alla Prefettura cittadina di Guido Longo, “superpoliziotto” (benché poco affezionato a questo termine) che fu in prima linea a Palermo nel periodo delle stragi del ‘92, e poi a Caserta dopo la strage di Castelvolturno; dell’uomo cui si deve la cattura dei superlatitanti dei Casalesi Antonio Iovine, Michele Zagaria e di Francesco Schiavone detto “Sandokan”; se nemmeno questo profilo fa alzare dalla sedia i politici nostrani, qualche dubbio alla fine viene.
Non un comunicato di benvenuto, non una parola di circostanza, non un cenno alla (per altri versi inflazionata) “sinergia tra istituzioni”. Nel caso di Giordano, neppure l’ombra di un deputato si è vista in Tribunale durante la cerimonia di giuramento. Ma neppure quella di un consigliere regionale, o di un presidente di Provincia o, che so, di un sindaco di Città capoluogo. Stessa sorte, del resto, toccata al prefetto Longo il quale, però, si è potuto “consolare” con le prime missive di “benvenuto” a lui rivolte e incentrate sulle molte e mai risolte disgrazie del territorio.
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Dimenticanze della politica. O forse eccesso di timidezza. Fatto sta che le istituzioni di prossimità non fanno una gran figura. Perdono un’occasione per dimostrarsi attente alle dinamiche che riguardano le Istituzioni “alte”, quelle con le quali sarebbe utile, anzi necessario, instaurare un rapporto osmotico. Nell’ambito delle rispettive competenze.
La politica vibonese “buca” così, almeno in prima battuta, un’opportunità per aprire un canale. Per instaurare un embrione di dialogo e collaborazione. Fallisce un tentativo per svestire, quelle stesse Istituzioni, dall’austero abito repressivo e farle percepire davvero parte attiva nella vita pubblica di un territorio. Alleate nel perseguimento degli stessi obiettivi.
Sempre che, ben inteso, gli obiettivi siano effettivamente i medesimi e che non si debba infine ricorrere alla peggiore delle ipotesi per spiegare questa tendenza della politica a darsi alla “latitanza” di fronte a toghe ed alamari. Come a volersi tenere a distanza di sicurezza.
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Un’ipotesi che ha a che fare con un certo imbarazzo di “classe”, o con una visione della magistratura tipica di una certa corrente di pensiero che la guarda con timore, considerandola un intralcio o peggio ancora una minaccia. A pensar male si fa peccato – diceva qualcuno -, ma spesso s’indovina.