Emanuele Mancuso e lo zio Francesco «uscito dal carcere più ‘ndranghetista di prima»
Le inedite dichiarazioni del collaboratore di giustizia agli atti dell’inchiesta “Petrol Mafie”. L’interesse per gli idrocarburi e la droga, i fedelissimi del boss e lo scontro con i familiari e Giuseppe Accorinti
Permettono di tracciare un aggiornato profilo del boss di Limbadi Francesco Mancuso, detto “Tabacco”, le inedite dichiarazioni del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso agli atti dell’inchiesta “Petrol Mafie”. Nota anche come “Rinascita Scott 2”, l’indagine ben delinea gli equilibri interni al potente casato mafioso di Limbadi sino all’attualità.
“Luigi Mancuso va d’accordo con tutti i parenti – ha messo a verbale Emanuele Mancuso – ad eccezione di Francesco Mancuso. L’articolazione di Francesco Mancuso, “Tabacco”, oramai è sgretolata. So che lui frequenta Rosa Di Grillo, Lucia Di Grillo, il marito di Lucia Di Grillo – ossia un ragazzo di Serra San Bruno – e Rosaria Mancuso”, quest’ultima sorella di Francesco Mancuso ed attualmente in carcere per l’autobomba in cui ha perso la vita Matteo Vinci. Fra i fedelissimi di Francesco Mancuso, anche un nipote, gli Zungri di Rosarno, i fratelli Muzzupappa, di cui uno sposato con la figlia di “Tabacco”. Francesco Mancuso, ad avviso del nipote Emanuele, avrebbe rotto i rapporti con i quattro figli e con la moglie a causa di una relazione intrapresa con “una donna che sta aprendo un’area di servizio con Francesco Mancuso a Gioia Tauro ed era proprietaria di un area di servizio a Mesiano. [Continua in basso]
Le discussioni con Giuseppe Accorinti e Luigi Mancuso
“Mio zio Francesco cercava i suoi spazi e in questo suo tentativo di riunificare le varie anime del clan aveva cercato di accreditarsi nella famiglia per aumentare il proprio prestigio. Ricordo che provava a guadagnarsi anche la mia fiducia – spiega Emanuele Mancuso – e voleva che io lo seguissi. Credo che Francesco Mancuso si stia creando uno spazio su Limbadi, anche se, che io sappia, al momento non sta creando affari illeciti sul territorio. Sono a conoscenza di una discussione che ha avuto con Giuseppe Accorinti per un lavoro o comunque per rilevare una ditta vicino all’autostrada tra Vibo Valentia e Rosarno. Francesco Mancuso batteva sul fatto che l’imprenditore che precedentemente svolgeva quell’attività era stato, in passato, vicino a lui, ossia sotto il suo controllo.
Questa circostanza è avvenuta dopo la scarcerazione di Francesco Mancuso. Sul punto, io so che lo zio Luigi Mancuso e Peppone Accorinti dovevano spartirsi la somma di 50mila euro proveniente a titolo estorsivo da questo imprenditore. Francesco Mancuso si contrappose perché non voleva assolutamente che ciò avvenisse, dal momento che l’imprenditore in questione non doveva essere toccato in alcun modo, perché a suo dire “stava con loro da più di 20 anni”, per cui se c’erano soldi da prendere spettavano soltanto a lui.
La questione la conosco per averla appresa direttamente dagli interessati. Il mio coinvolgimento nella questione era dovuto al fatto che la mia famiglia aveva l’interesse diretto nell’affare, perché parte dei 25mila euro di Luigi Mancuso dovevano essere versati anche a mio padre. Sono certo di averne parlato per la prima volta direttamente con mio zio Francesco, che si espresse chiaramente nei termini che ho detto. Una seconda volta – spiega ancora il collaboratore – ne ho parlato con il figlio Domenico Mancuso, detto Tequila. Domenico Mancuso era in affari con Gregorio Niglia e Peppone Accorinti. In questa occasione il figlio di Tabacco ribadì lo stesso concetto, risultando persino più risoluto e sgradevole nei toni. Mio zio ed il figlio parlavano con me di questa questione perché io portavo le ambasciate all’altro ramo della famiglia interessato alla questione dei 50.000 euro, anche se non ricordo esattamente a chi io riportassi i messaggi dei due”. [Continua in basso]
L’autorevolezza di Francesco Mancuso
Emanuele Mancuso dichiara di non sapere come sia finita la vicenda, ma precisa che a suo avviso lo zio Francesco Mancuso “era personaggio che poteva autorevolmente dire la sua in situazioni del genere, rivendicando quanto gli spettava in ragione della sua posizione nel clan anche nei confronti di zio Luigi. Quindi, anche se non era e non potrà mai essere un fedelissimo di Luigi Mancuso, mio zio Francesco era un esponente importante del clan, riconosciuto come tale all’esterno, che rivendicava la sua fetta di potere ed il suo spazio, anche al di là del valore economico che poteva avere la singola estorsione”.
Emanuele Mancuso spiega quindi di non sapere la dote di ‘ndrangheta dello zio Francesco Mancuso ma aggiunge di sapere “per certo che fa parte del clan, con un ruolo di peso, anche se in disaccordo con molti dei maggiorenti come gli “anziani”, Luigi, Cosmo, Antonio, ed ha sicuramente dei limiti e si deve fare spazio in mezzo agli altri. Quel giorno che gli hanno sparato, addirittura tornò a casa per non far apparire che fosse in difficoltà all’interno del clan, nonostante avesse perso molto sangue. Fu il figlio a portarlo in ospedale. Mio zio Francesco voleva imitare l’altro zio, Luigi Mancuso, e per certi versi voleva riunire la famiglia, soprattutto dopo la sua scarcerazione, anche se aveva tutti gli zii contro. A titolo di esempio: Luigi Mancuso lo odia, Cosmo Mancuso voleva ucciderlo e non c’è riuscito, lo zio Antonio pure lo detestava, anche in ragione di screzi con i Cicerone, ai quali aveva fatto saltare in aria la macchina, come si evince anche dalle carte del processo Dinasty, per prendere le difese mie e di mio fratello nei confronti dei Cicerone. Ciò nonostante lui voleva tenere unita la sua famiglia, perlomeno i propri fratelli. Agli occhi della popolazione è a tutti gli effetti un membro importante del clan Mancuso, anche perché le divisioni tra i vari rami rimanevano interne alla famiglia. Dopo quindici anni di carcere ha cercato di trovare i propri spazi e dal carcere è uscito più ‘ndranghetista di quanto già non lo fosse”. [Continua in basso]
L’interesse per gli idrocarburi
Emanuele Mancuso sottolinea poi che la “maggior parte dei componenti della mia famiglia investiva in colonnine di benzina, attraverso prestanome. Tra questi ricordo Alfonso Cuturello, figlio di Roberto, poi arrestato per droga. Inoltre, zio Ciccio Tabacco per il tramite della sua amante gestiva una colonnina di benzina. Non so se e come mio zio Ciccio Tabacco possa aver investito denaro nell’attività della Pugliese, ma certamente era un’attività di suo interesse e sul territorio di Gioia Tauro la Pugliese si è presentata come una Mancuso e tutti la conoscevano come tale grazie al rapporto con mio zio. Certamente mio zio Francesco gli avrà indicato come fare e dove andare per aprire una colonnina in quel territorio. In famiglia della colonnina di Gioia Tauro non me ne hanno mai parlato. Mia madre mi disse di evitare in ogni modo lo scontro con mio zio Francesco e con le sue persone di fiducia”.
Francesco Mancuso e la droga
Altro capitolo delle dichiarazioni di Emanuele Mancuso riguardano l’interesse dello zio per gli stupefacenti. “Per quanto riguarda il mercato della cocaina, mio zio Francesco Mancuso mi presentò una volta un esponente di una famiglia della ionica, i Cordì, per comprare la sostanza stupefacente. Io parlai con questo soggetto che mi disse che potevo acquistare la cocaina anche a credito. Lui a sua volta era accompagnato da altri due più anziani. Il mio interlocutore poteva avere circa 40 anni. Mi sembra di ricordare che il suo nome fosse Mico”.