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Tentato omicidio a Mileto: sentenza di condanna definitiva per i Prostamo

La Cassazione deposita le motivazioni del verdetto di colpevolezza per la sparatoria contro Rocco La Scala. Sullo sfondo l’omicidio del boss di San Giovanni

Tentato omicidio a Mileto: sentenza di condanna definitiva per i Prostamo

Sono state depositate dalla quinta sezione penale della Cassazione le motivazioni della sentenza con la quale è stato confermato il verdetto emesso dalla Corte d’Appello di Catanzaro il 15 marzo del 2016 per il tentato omicidio di Rocco La Scala, ambulante di 51 anni, gravemente ferito a colpi di pistola (tanto da restare paralizzato) il 13 settembre 2011 a Mileto mentre si accingeva ad aprire il cancello che immetteva in un appezzamento di terreno di sua proprietà. La pena per Nazzareno Prostamo, di 56 anni, di San Giovanni di Mileto, ammonta a 14 anni di reclusione, mentre 8 anni e 6 mesi è la condanna per Giuseppe Prostamo (figlio di Nazzareno), di 28 anni. Nazzareno Prostamo sta attualmente scontando l’ergastolo quale esecutore materiale – insieme a Pasquale Pititto – dell’omicidio nel 1990 di Pietro Cosimo. Un delitto che sarebbe stato commissionato dal boss di Gagliano (quartiere di Catanzaro), Girolamo Costanzo, dietro il pagamento di cinque milioni di lire. Nazzareno Prostamo ed il figlio Giuseppe avrebbero risolto a colpi d’arma da fuoco i “dissidi” con Rocco La Scala, ritenuto dall’ergastolano di Mileto il mandante dell’omicidio del fratello Giuseppe Prostamo, il defunto boss di San Giovanni ucciso il 3 giugno 2011 a San Costantino Calabro. Giuseppe Prostamo aveva avuto una bambina dalla moglie di La Scala. La decisione della ragazza di andare a vivere con la madre, riavvicinatasi nel frattempo al marito Rocco La Scala, era stata vissuta dai Prostamo come un “affronto” alla memoria del boss.

Gli elementi a carico degli imputati sono costituiti, oltre che dalla rappresentata causale, su cui aveva reso ampie dichiarazioni anche la donna da cui era nato il bambino, da tre conversazioni – intercettate in carcere – tra i fratelli Prostamo Francesco e Giuseppe, figli di Nazrareno, i quali, nel commentare l’azione delittuosa, avevano fatto riferimento all’autore materiale del tentato omicidio, individuato in tale ” U brabicu” (persona a cui gli investigatori non sono riusciti a dare un nome), ed avevano espresso il loro compiacimento per gli esiti dell’azione, che aveva ridotto la vittima in condizioni penose. In altra conversazione (del 27 settembre 2011) i due avevano, invece, fatto riferimento ad una riunione tenutasi in un periodo – prossimo al delitto – in cui il loro padre Nazzareno beneficiava di un permesso carcerario, nel corso della quale era stata decisa l’uccisione di La Scala (dal tenore della conversazione intercorsa tra i due fratelli i giudici hanno ritenuto che alla riunione avessero partecipato Prostamo Giuseppe e Prostamo Nazareno e che fosse stato quest’ultimo a dare il mandato omicidiario a “U Brabicu”). Per la Cassazione, i motivi del ricorso dei Prostamo sono in parte infondati ed in parte inammissibili e la lettura del decreto del pubblico ministero “dimostra ampiamente che, allorché furono disposte le intercettazioni, esistevano più che sufficienti indizi di reato; anzi, vi era la certezza degli stessi, essendo stato verificato che Rocco La Scala era stato vittima di un tentativo di omicidio con armi da fuoco e che esisteva forte conflittualità tra le famiglie dei Prostamo e dei La Scala. Tanto era bastevole – secondo la Cassazione – per procedere ad intercettazione. Quanto alla mancata enunciazione delle ragioni per cui non si sarebbe di fronte ad un reato di lesioni personali, per la Suprema Corte “basta leggere la sentenza per rendersi conto che tutte le condotte ascritte agli imputati rimandano ad un fatto omicidiario, senza bisogno di altra spiegazione che non sia già contenuta nella descrizione della condotte, che parlano da sé”. Quanto infine alla negazione delle attenuanti generiche, “i riferimenti alla gravità dei fatti e alla pessima biografia criminale di Nazzareno Prostamo compendiano esaustivamente le ragioni del diniego, come messo in evidenza da sovrabbondante giurisprudenza”. 

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