giovedì,Aprile 25 2024

Omicidio Matteo Vinci, Progetto Vita: «Chi protegge Sara e Francesco?»

Lungo e allarmato intervento da parte di Adriana Colacicco e Gerardo Gatti che chiedono a gran voce la scorta per i genitori del giovane ucciso a Limbadi nel 2018

Omicidio Matteo Vinci, Progetto Vita: «Chi protegge Sara e Francesco?»
L'autobomba di Limbadi e nel riquadro Matteo Vinci
Sara Scarpulla e Francesco Vinci

«Sara Scarpulla e Francesco Vinci non sono in un regime di protezione. Sara e Francesco sono i genitori di Matteo Vinci brutalmente assassinato dai vigliacchi malacarne Mancuso di Limbadi. Non sono forse soggetti a rischio? Secondo chi non dovrebbero esserci particolari elementi di rischio, quindi ipotesi di pericolo o minaccia che giustifichino l’assegnazione di una scorta? Qualcuno ha dimenticato che proprio Domenico Di Grillo, insieme ad altri familiari, picchiò brutalmente Francesco Vinci, papà di Matteo e marito di Sara, ferendolo con un’ascia e un forcone? E questo non è metodo mafioso? Non è associazione mafiosa? Per l’avvocato del Di Grillo no, infatti al Di Grillo non è stata riconosciuta l’associazione mafiosa. Strana l’Italia». Questo l’inizio di una lunga nota a firma di Adriana Colacicco e Gerardo Gatti, fondatori del Progetto di Vita. [Continua in basso]

I domiciliari concessi a Domenico Di Grillo

«E pure – prosegue il comunicato – la storia di Sara, Francesco e Matteo parla chiaro. Ancora oggi, dal momento che il malacarne Domenico Di Grillo sconterà agli arresti domiciliari la sua pena per motivi di salute in una casa a pochi metri dalla casa di Sara e Francesco? Perché non in un luogo lontano dalla casa dei Vinci?  Per molti chi denuncia è un infame, in molti dicono “se l’è cercata”… questa purtroppo è l’Italia.  Sara e Francesco hanno diritto al servizio scorta e ne avevano diritto ancora prima che Matteo perdesse la vita. Tante sono le scorte che oggi vengono concesse e altrettante no. E come nel caso della famiglia Vinci e in tanti altri lo Stato non risponde adeguatamente.  Le forme di tutela sono tante dalla vigilanza generica radiocollegata, a quella dinamica al presidio fisso fino alla scorta mobile per cui sono valutate e previste quattro misure.  Sara e Francesco non hanno niente, nessuna forma di tutela che debba scoraggiare qualsiasi altro episodio».

La morte del figlio Matteo

Sara Scarpulla e Francesco Vinci nel 2018 hanno perso l’unico figlio, Matteo. Nell’attentato mortale ne rimane ferito anche il padre di Matteo, Francesco. Matteo Vinci aveva 42 anni quando è stato ucciso, «un ragazzo educato alla legalità – scrivono i fondatori del – Progetto Vita” – «e con un profondo senso civico. Ucciso per aver difeso la sua terra e per non essersi piegato al potere dei Mancuso, perché ai Mancuso nessuno può dire no. Eppure Sara, Francesco e Matteo l’hanno fatto. E se lo Stato fosse intervenuto prima, durante i 25 anni di soprusi? Matteo sarebbe salvo e Sara e Francesco liberi dal potere dei Mancuso? E per Stato intendiamo anche il Comune, visto che la famiglia Vinci si è rivolta più volte anche al Comune fino a quando fra mille false promesse, Francesco riceve un vero agguato con ascia e forcone, una dei tanti fino a quello mortale per Matteo. Il tutto avviene a Limbadi regno della ‘ndrina Mancuso una potente famiglia di ndrangheta che con i proventi del traffico di droga compra tutto. Ma Sara – si legge ancora nella nota – non ha mai avuto paura di pronunciare nomi che vengono solo sussurrati e persino mai pronunciati, non hanno mai mollato nonostante l’omertà che regna sovrana nelle coscienze di tanti. Benedetta coscienza, se solo ogni tanto qualcuno si facesse un esame di coscienza sarebbe tutto diverso, ammesso che ne abbiano una. La lotta dei nostri cari amici Sara e Francesco è la lotta dell’esercito dei silenziosi onesti, un grande esercito, che cresce ogni giorno sempre di più, composto da persone onorevoli che si oppongono al malaffare del potere mafioso in una terra dove l’ombra nera della ndrangheta oscura tutto». [Continua in basso]

Incondizionato sostegno a Sara e Francesco

Detto questo, Adriana Colacicco e Gerardo Gatti fanno sapere di avere scelto di sostenere Sara e Francesco «perché significa sostenere noi stessi, salvaguardare il futuro dei nostri figli. Una lotta che riguarda tutti. Non potevamo rimanere indifferenti e inermi dinanzi alla concessione degli arresti domiciliari per il marito di Rosaria Mancuso, Domenico Di Grillo e Sara e Francesco che vivono ancora senza nessuna protezione. La vita della famiglia Vinci è piena di violenza, minacce, “imbasciate”, intimidazioni da parte della famiglia Mancuso. Rosaria Mancuso, sorella dei boss Giuseppe, Diego, Francesco e Pantaleone Mancuso, è la matriarca e regista dell’omicidio di Matteo. Ucciso perché – è scritto nella nota – la ndrangheta fa anche questo, uccide per bramosia di potere, per un pezzo di terra del quale se ne appropria con il metodo mafioso. E tutto ciò è normale. Rispettando la sentenza per i domiciliari di Domenico Di Grillo, siamo profondamente indignati e furibondi che questo essere debba vivere a Limbadi insieme ad un altro essere Giuseppe Mancuso, fratello di Rosaria Mancuso, che dopo anni di detenzione è tornato a Limbadi. “Sangue chiama sangue” ripetono battendosi il petto le donne anche dinanzi le chiese quando c’è il funerale di un loro parente ucciso nelle faide ricordano ai loro uomini di vendicare per ristabilire l’onore perduto, figlie femmine che servono a rafforzare i clan e i figli maschi che ne garantiscono la continuità, anzi più figli maschi si hanno e più è potente la famiglia».

Le donne di ’ndrangheta e la lotta alla criminalità

Le donne di ’ndrangheta, benché non prestino giuramento, possono diventare “sorelle di ndrangheta”, ma – prosegue il comunicato «difficilmente si riconosce il titolo a chi non è moglie, figlia, sorella, chiunque abbia un legame con i “presunti uomini d’onore”.

La donna ha un ruolo importante all’interno dei clan, proprio come Rosaria Mancuso che dopo anni di soprusi, minacce e agguati di morte alla famiglia Vinci è stata la mandante di un delitto atroce. Limbadi è l’epicentro di questa famiglia, ma a Limbadi vive gente onesta che di loro non ha paura e difende i loro diritti. Limbadi non è “cosa loro”. La lotta ai Mancuso e ad altre famiglie appartenenti alla criminalità organizzata si fa non solo con i processi, ma soprattutto con la diffusione della cultura della legalità, della giustizia e dell’eguaglianza e, quindi dei buoni esempi. Le donne che si ribellano al potere mafioso sono un’”arma” preziosa per iniziare a sconfiggere il metodo mafioso. L’omertà ha sempre permesso a questi malacarne di essere protetti, ma non è sempre così. Come si può ottenere rispetto per azioni che devono ricevere solo disprezzo? I malacarne dimenticano una cosa importante che il rispetto ottenuto con la prepotenza che inizia anche con una parola oggi e domani diventa una revolverata e via dicendo … è solo vergogna e quelli che agiscono con il “metodo mafioso” sono indegni di vivere in una comunità libera e onesta. Un grande abbraccio va agli amici Sara e Francesco che, insieme a Matteo, non hanno mai piegato la testa … a Sara che ha avuto da sempre il coraggio di affrontarli e guardarli negli occhi senza paura, perché il coraggio dell’onesto non teme niente». [Continua in basso]

Questa la perentoria conclusione di Adriana Colacicco e Gerardo: «Noi saremo accanto a voi e presto la famiglia Mancuso, se ne ha il coraggio, ci guarderà negli occhi non appena saremo a Limbadi per mettere a dimora l’ennesimo Albero della Legalità.  Noi saremo accanto attivamente a Sara e Francesco, saremo accanto a tutti coloro che non avranno paura di denunciare per difendere i propri diritti, perché “loro”, “le merde”, ma sarebbe un complimento per “loro”, visto che anche la “merda” ha i suoi benefici, non sanno neanche cosa siano i diritti, perché arrivare ad uccidere per appropriarsi di 50 metri di terra sono solo nessuno. Come ripete la nostra amica Sara “sono meno di niente”. Sara, Francesco, Matteo non mollate, non siete soli».

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