domenica,Ottobre 6 2024

‘Ndrangheta: le estorsioni alle ditte dei rifiuti a Vibo ed i tentativi di inserirsi nei lavori dell’ospedale

Ecco le accuse mosse agli indagati. Secondo la Dda c’è chi ha resistito sporgendo denuncia e chi invece avrebbe fatto desistere i vibonesi godendo del sostegno di altri clan

‘Ndrangheta: le estorsioni alle ditte dei rifiuti a Vibo ed i tentativi di inserirsi nei lavori dell’ospedale
Salvatore Morelli

Dieci capi di imputazione contestati dalla Dda di Catanzaro a 12 indagati di cui cinque raggiunti da ordinanza di custodia cautelare in carcere e gli altri a piede libero avendo il gip distrettuale rigettato la misura nei loro confronti. Si trovavano già detenuti e sono stati raggiunti da ordinanza in carcere: Domenico Macrì, detto “Mommo”, 38 anni, di Vibo (già detenuto e condannato in Rinascita Scott a 20 anni con il rito abbreviato); Michele Manco, 34 anni, di Vibo, e Michele Pugliese Carchedi, 38 anni, anche lui di Vibo Valentia. Si trovavano liberi e sono stati portati in carcere: Andrea Ruffa, 28 anni, di Vibo Valentia; Domenico Serra, 30 anni, di Vibo Valentia. Gli altri indagati, tutti di Vibo Valentia, sono: Bartolomeo Arena (collaboratore di giustizia); Domenico Camillò, 28 anni; Andrea Mantella (collaboratore di giustizia); Salvatore Mantella, 48 anni; Vincenzo Mantella, 36 anni; Francesco Antonio Pardea, 36 anni; Salvatore Morelli, 39 anni. A parte i due collaboratori, gli altri indagati sono tutti detenuti per Rinascita Scott (Vincenzo Mantella è ai domiciliari con braccialetto elettronico da luglio). [Continua in basso]

L’estorsione alla ditta Farfaglia

La prima contestazione per il reato di estorsione è mossa ad Andrea Mantella in concorso con i cugini Salvatore e Vincenzo Mantella. In particolare, in concorso morale e materiale tra loro, sono accusati di aver avvicinato nel 2009 sul cantiere relativo a dei lavori edili sito tra Vibo e Vena Superiore – Gregorio Farfaglia, figlio di Rocco Farfaglia, titolare della ditta appaltatrice dell’opera – con minaccia consistita nel rappresentargli la necessità di “mettersi a posto”, come «peraltro già riferito in precedenza al Farfaglia da esponenti della ‘ndrina di San Gregorio d’Ippona, a loro volta interessati all’appalto in ragione sia della competenza vantata sul territorio di provenienza dell’imprenditore, sia – si legge nel capo di imputazione elevato dalla Dda del procuratore Gratteri – del rapporto di particolare vicinanza con quest’ultimo;

Vincenzo Mantella

I tre cugini Mantella, quindi, facendo percepire alla persona offesa di far parte della cosca di ‘ndrangheta di Vibo Valentia «capace di garantire la tranquillità e la tutela della ditta» avrebbero costretto il rappresentante della ditta alla dazione, in favore del gruppo Mantella, di una somma di denaro pari ad euro 20mila, che veniva versata in quattro trance dell’importo di euro cinquemila ciascuna, la prima delle quali consegnata personalmente ad Andrea Mantella all’interno di un ristorante di Vibo Marina. Le successive dazioni di denaro sarebbero state consegnate da Farfaglia nelle mani di Vincenzo e Salvatore Mantella, «senza altra causa o giustificazione che non fosse l’ubicazione del cantiere in un territorio sottoposto al controllo del proprio gruppo criminale, con corrispondente indebito profitto per sé e per la ‘ndrina di Vibo Valentia e danno per la vittima». L’estorsione è naturalmente aggravata dal metodo mafioso. Farfaglia non è indagato. [Continua in basso]

L’estorsione alla ditta dei rifiuti Ased

Operai Ased al lavoro per smaltire l'accumulo di rifiuti

Laseconda estorsione vede quale vittima Rosario Azzarà di Melito Porto Salvo, titolare della ditta Ased che aveva negli scorsi anni in appalto la raccolta dei rifiuti a Vibo (dal 2 novembre 2015 al 18 maggio 2017), poi coinvolto nell’operazione antimafia “Ecosistema” della Dda di Reggio Calabria ed attualmente ancora sotto processo. Bartolomeo Arena, Francesco Antonio Pardea, Salvatore Morelli, Michele Pugliese Carchedi e Domenico Camillò sono accusati di concorso in estorsione. In particolare, Michele Pugliese Carchedi e Domenico Camillò – su mandato di Francesco Antonio Pardea, Salvatore Morelli e Bartolomeo Arena -, si sarebbero presentati al cospetto di tre operai impegnati nella raccolta dei rifiuti urbani nei pressi dei cassonetti raccoglitori siti in via Giovanni XXIII di Vibo Valentia con volto travisato ed armati di pistola, puntando l’arma alla tempia di un operaio alla guida del mezzo da lavoro. Dopo aver intimato a quest’ultimo di allontanarsi dal veicolo, il mezzo è stato cosparso di benzina e dato alle fiamme. Facendo percepire quindi alla ditta di far parte di un sodalizio di ‘ndrangheta, gli indagati avrebbero costretto nell’aprile del 2016il titolare della ditta Ased, Rosario Azzarà, a pagare alla ‘ndrina dei Pardea (detti “Ranisi”) «una cospicua somma di denaro che veniva suddivisa tra i suoi membri, ivi incluso Bartolomeo Arena, al quale veniva consegnata la somma di 400 euro». Anche in questo caso l’estorsione è aggravata dal metodo mafioso, al pari della contestazione relativa alla detenzione illegale e porto in luogo pubblico di una pistola.

La tentata estorsione ai danni di Farfaglia

Domenico Macrì

In questo caso nell’agosto 2018 Mommo Macrì e Domenico Serra a bordo di un’auto e Michele Pugliese Carchedi e Michele Manco con altra auto sono accusati di essersi recati – unitamente ad Andrea Ruffa con altra auto ancora – nei pressi dell’abitazione a Bivona di Gregorio Farfaglia minacciando quest’ultimo che «qualora non avesse consegnato loro una somma quale quota parte del provento derivante dall’esecuzione dell’appalto di gestione dei rifiuti per conto del Comune di Vibo Valentia ad opera della ditta Dusty srl», Mommo Macrì avrebbe «sparato a lui ed alla sua famiglia e lo avrebbe fatto a pezzi». Gregorio Farfaglia, ritenuto dalla Dda il «referente di fatto della ditta Dusty» avrebbe però opposto un netto rifiuto alla richiesta di consegnare somme di denaro al gruppo di Mommo Macrì. Opposizione che Gregorio Farfaglia avrebbe fatto – ad avviso degli inquirenti – «anche in forza dei propri rapporti con la ‘ndrangheta di San Gregorio d’Ippona ed in particolare con Filippo Fiarè, esponente apicale del locale di San Gregorio d’Ippona, della cui protezione poteva godere al punto da paralizzare l’azione del Macrì e comunque ricondurre la composizione della vicenda nel contesto delle dinamiche criminali interne alla ‘ndragheta vibonese». [Continua in basso]

L’estorsione alla ditta impegnata nei lavori per il nuovo ospedale

Il cantiere del nuovo ospedale di Vibo

Siamo nel giugno del 2020 – quindi sei mesi dopo gli arresti di Rinascita Scott del dicembre 2019 – e Michele Manco è accusato di essersi recato in auto all’interno dell’area interessata dai lavori di realizzazione del nuovo ospedale di Vibo Valentia, avvicinando un autista della società Costruzioni Lucia srl minacciandolo con la seguente frase: “Dì al tuo capo che si è dimenticato degli amici”. Avrebbe così cercato di costringere il titolare della ditta subappaltatrice dei lavori con riguardo alla fornitura del calcestruzzo preconfezionato a corrispondergli non meglio definite quantità di denaro in quanto il cantiere dei lavori sarebbe ricaduto in una zona sotto il controllo mafioso della ‘ndrina dei Pardea. La contestazione di estorsione in questo caso è solo tentata – e non consumata – per la ferma opposizione della persona offesa, che rifiutava il pagamento e portava il fatto a conoscenza di del titolare della Costruzioni Procopio S.r.l., società appaltatrice del nuovo ospedale che sporgeva denuncia.

Nel luglio del 2020, quindi, Michele Manco è accusato di essersi ripresentato sul cantiere di costruzione del nuovo ospedale avvicinando nei pressi di una Stazione di carburanti altro autista della ditta “Costruzioni Lucia srl” minacciandolo con la seguente frase: “Vi siete scordati di andare  a trovare gli amici, andate a trovare gli amici sennò sparano”. Anche in questo caso il titolare della ditta Procopio, appaltatore dei lavori per il nuovo ospedale, sporgeva denuncia.

LEGGI ANCHE: Estorsioni a Vibo, operazione della Dda: 12 indagati e cinque misure cautelari

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