venerdì,Maggio 17 2024

Arrestato in Sicilia l’evaso tropeano Raffaele Calamita condannato per omicidio

A rintracciarlo in compagnia di una donna è stata la polizia grazie al "fiuto" della Squadra Mobile di Vibo. Sta scontando una pena definitiva per l’omicidio a Tropea di Salvatore Russo, ma la Cassazione ha riaperto a novembre il caso grazie alle dichiarazioni di Emanuele Mancuso

Arrestato in Sicilia l’evaso tropeano Raffaele Calamita condannato per omicidio
Nel riquadro Raffaele Calamita
Nei riquadri da sinistra Raffaele Calamita, la vittima Salvatore Russo e Emanuele Mancuso

Rintracciato e arrestato dalla polizia a Sciacca, in Sicilia, Raffaele Calamita, 33 anni, di Tropea, ricercato da ieri dopo non aver più fatto rientro nel carcere di Paola una volta ottenuto un permesso premio. Calamita è stato trovato dalla Squadra Mobile di Agrigento, grazie soprattutto al prezioso contributo dei poliziotti della Squadra Mobile di Vibo Valentia, in compagnia di una donna la cui posizione è ora al vaglio della polizia per il possibile reato di favoreggiamento. Raffaele Calamita sta scontando una condanna definitiva a 16 anni di reclusione per l’omicidio di Salvatore Russo, il 45enne freddato con quattro colpi di pistola a Tropea il 10 settembre 2013. Calamita è in attesa della revisione del processo per come disposto dalla Cassazione nel novembre dello scorso anno riaprendo il caso dell’omicidio di Salvatore Russo grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso il quale ha riferito de relato sull’identità del presunto mandante dell’omicidio e sul fatto che la compagna della vittima, teste oculare del delitto, sarebbe stata indotta ad identificare nel Calamita l’autore del reato. La Cassazione, in accoglimento di un ricorso degli avvocati Enzo Galeota e Salvatore Staiano, ha ritenuto fondato e meritevole di accoglimento il ricorso di Raffaele Calamita in quanto in seguito alla scoperta di una prova nuova la valutazione preliminare è tesa soltanto a riconoscere l’eventuale sussistenza di un’infondatezza rilevabile ictu oculi, mentre gli altri apprezzamenti sono riservati al giudizio di merito da compiersi nel contradditorio fra le parti. Per la Suprema Corte, la Corte territoriale non ha invero interpretato correttamente tali consolidati principi, mentre la motivazione del provvedimento impugnato non va esente dalle censure sulla sua tenuta logica mosse dal ricorrente. Nella specie il nuovo elemento di prova era rappresentato dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso, il quale in un diverso procedimento ha riferito – ha sottolineato la Cassazione – di avere egli appreso che il mandante dell’omicidio doveva identificarsi in Francesco La Rosa, fratello di Tonino e che la principale teste di accusa (la teste oculare compagna della vittima) era stata indotta dal predetto mandante, in cambio di un corrispettivoad accusare falsamente del delitto il Calamita”. Da qui l’annullamento del rigetto alla revisione del processo e il rinvio alla Corte d’Appello di Napoli nel novembre scorso per riesaminare il tutto per come chiesto dai difensori di Calamita.
Da ricordare che in primo grado, al termine del processo celebrato con rito abbreviato dinanzi al gup del Tribunale di Vibo, l’imputato era stato condannato a 24 anni di carcere, mentre l’allora pm della Procura di Vibo, Maria Gabriella Di Lauro, aveva chiesto la pena dell’ergastolo. In Appello, gli avvocati Enzo Galeota e Salvatore Staiano erano riusciti a far ottenere all’imputato le attenuanti generiche e l’esclusione della premeditazione e la pena per Raffaele Calamita era così scesa a 16 anni di reclusione. Verdetto poi confermato dalla Cassazione. Conosciuto come “U meleu”, Salvatore Russo – con piccoli precedenti legati agli stupefacenti – sarebbe stato ucciso per una vendetta maturata negli ambienti della criminalità. Un mese dopo il delitto i carabinieri fermarono Raffaele Calamita, detto “Spillo”, grazie alle dichiarazioni della testimone. La vittima ra stata uccisa a pochi metri dal portone di casa in località Vulcano di Tropea. I familiari della vittima si erano costituiti parti civili con l’avvocato Patrizio Cuppari.

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