venerdì,Marzo 29 2024

‘Ndrangheta: Comune di Tropea di nuovo commissariato per mafia

Il Consiglio di Stato sospende l’efficacia della sentenza del Tar Lazio e accoglie il ricorso del Viminale e della Prefettura di Vibo: “Gravi elementi confermativi di infiltrazioni mafiose”

‘Ndrangheta: Comune di Tropea di nuovo commissariato per mafia

La terza sezione del Consiglio di Stato ha sospeso l’esecutività della sentenza con la quale il Tar del Lazio aveva annullato il decreto di scioglimento degli organi elettivi del Comune di Tropea per infiltrazioni mafiose deciso il 12 agosto 2016 con apposito decreto presidenziale sulla scorta di una relazione redatta dalla Commissione di accesso agli atti (composta dal viceprefetto Lucia Iannuzzi, dall’allora comandante della Compagnia dei carabinieri di Tropea Francesco Manzone e dal capitano della Guardia di finanza Giovanni Torino), dalla Prefettura di Vibo Valentia e dal Ministero dell’Interno.

I giudici amministrativi di secondo grado hanno infatti accolto l’appello cautelare del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Vibo ripristinando la terna commissariale antimafia al posto degli organi elettivi. Ciò vuol dire che il sindaco di Tropea, Giuseppe Rodolico, e tutta la sua Giunta – oltre che all’intero Consiglio comunale – sono cessati dalle loro funzioni e l’ente ritorna il mano ai commissari antimafia. Il tutto sino alla trattazione di merito del ricorso del Ministero dell’Interno e della Prefettura avverso la sentenza del Tar Lazio, fissata per il 12 dicembre prossimo. Ma le speranze che nel merito il Consiglio di Stato decida di ripristinare gli organi elettivi del Comune di Tropea, e confermare la sentenza del Tar Lazio che annullava il decreto di scioglimento degli organi elettivi dell’ente, sono ridotte al lumicino. Per non dire quasi nulle. Questo perché le motivazioni con le quali il Consiglio di Stato ha accolto l’appello cautelare del Viminale e della Prefettura di Vibo (concedendo loro la “sospensiva” del provvedimento del Tar) sono quanto mai significative e dure: il Tar Lazio – ad avviso dei giudici amministrativi di secondo grado – ha sbagliato nella valutazione di quasi tutti gli elementi a sostegno dello scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose. Ed ha sbagliato anche nella valutazione giuridica di alcune situazioni di fatto. Ecco perché.

I motivi dell’ordinanza del Consiglio di Stato. I giudici amministrativi spiegano che la decisione viene presa “a difesa della cittadinanza di Tropea ripristinando la legalità in tutti i settori”. Far restare in piedi l’amministrazione Rodolico ed il Consiglio comunale attuale, per il Consiglio di Stato – pur in attesa della trattazione del merito del ricorso – costituirebbe danno “grave ed irreparabile, poiché ogni proseguimento dell’attività di governo della città da parte di un’amministrazione locale disciolta sulla base di elementi valutati in questa sede cautelare ben articolati e motivati, determinerebbe un pregiudizio al bene comune della trasparenza, imparzialità e buon andamento, a presidio del quale la Presidenza della Repubblica e il Governo devono porsi in ogni sede”.

Gli errori del Tar Lazio. Gli elementi che hanno portato allo scioglimento del Comune di Tropea per infiltrazioni mafiose, secondo il Consiglio di Stato, andavano valutati non atomisticamente e singolarmente, ma in collegamento fra loro e “non estrapolando questi ultimi, uno per uno, dal contesto che è tipico di aree territoriali in cui vi è accertata presenza di criminalità mafiosa”. Inoltre “la mancata attivazione di misure per il ripristino della legalità costituisce – a parte la responsabilità dei funzionari comunali – elemento costitutivo della responsabilità “istituzionale” degli organi politici dell’ente locale” rilevante ai fini dello scioglimento di un ente locale per infiltrazioni mafiose.

Per il Consiglio di Stato i tre soggetti (sindaco, vicesindaco e assessore), vale a dire Giuseppe Rodolico, Domenico Tropeano e Antonio Bretti, partecipanti ad un incontro pre-elettorale in un hotel di Parghelia “erano già allora collegati a reti di interessi opachi e certamente – scrivono i giudici amministrativi – graditi alle cosche locali”. E sempre per i giudici amministrativi di secondo grado “sorprende come il Tar del Lazio, sottolineando che il sindaco Rodolico non fosse neppure indagato, abbia omesso di evidenziare come dello stesso sindaco, al tempo in cui era assessore ai Lavori pubblici della precedente giunta, esponenti della cosca egemone parlavano in intercettazioni di un’inchiesta come “persona di gradimento”.

Ed ancora: per il Consiglio di Stato “l’attentato intimidatorio al sindaco avvenne prima, e non dopo la sostituzione di un’impresa vicina alle cosche con altra impresa in un appalto, sicché l’unico fatto immediatamente antecedente all’attentato, e ad esso verosimilmente collegabile, era la rimozione dell’assessore al turismo” Antonio Bretti.

Defenestramento di Bretti da parte di Rodolico che “avvenne non già spontaneamente, ma ben dopo che i carabinieri – scrive il Consiglio di Stato – avevano denunciato alla Procura della Repubblica il pluripregiudicato Francesco Zaccaro, sottoposto a misura di prevenzione, che aveva organizzato insieme allo stesso assessore al turismo una manifestazione comunale ed era comparso accanto allo stesso assessore e al presidente del Consiglio comunale per rilasciare un’intervista ad una troupe Rai, il che aveva fatto esplodere una evidente polemica rendendo impossibile la difesa da parte del sindaco, il quale peraltro aveva condiviso la proposta – spiega ancora il Consiglio di Stato – organizzativa della manifestazione che includeva la “regia” operativa del predetto pluripregiudicato”.

Inoltre l’impiego, a chiamata diretta, di imprese per lavori di ripristino nel giugno 2014, “certamente includeva soggetti gravati da interdittiva antimafia e alcune chiamate di imprese avvennero quando il funzionario comunale non era in servizio, sicché tali fatti dovevano essere ricondotti a scelta diretta del sindaco e dei suoi collaboratori nella giunta”.

Lo “Chalet dei fiori”. Pure la vicenda della gestione “del bar all’interno del parco comunale ha evidenziato una diretta ingerenza del sindaco – all’insaputa del funzionario responsabile- nel proporre una transazione al gestore di fatto, pluripregiudicato, il quale aveva già ottenuto il rigetto del suo ricorso al Tar e avrebbe presumibilmente ottenuto analogo risultato negativo – rimarcano i giudici – dinanzi al Consiglio di Stato”. Per i giudici amministrativi di secondo grado, il Tar del Lazio ha in tale vicenda “omesso di valutare adeguatamente anche la circostanza che, opponendosi nel legittimare la relazione tecnica per dar corso alla transazione, il funzionario comunale responsabile ha dapprima resistito alle pressioni dell’assessore al contenzioso e poi ha lasciato l’amministrazione”.

Il porto di Tropea. Ad avviso del Consiglio di Stato la sentenza del Tar Lazio ha inoltre “sminuito la portata della sorprendente situazione di illegalità e disordine amministrativo relativa alla gestione delle attività del porto, incluse le biglietterie per i traghetti e le attività di custodia dei moli, anche con la omessa acquisizione di tutte le necessarie certificazioni antimafia; l’erronea valutazione di tale elemento è derivata dalla sottolineata mancanza di prove della ingerenza politica, il che peraltro – spiegano i giudici amministrativi – non è affatto necessario ai fini dello scioglimento di un’amministrazione comunale per mafia quando un intero e rilevantissimo settore come la gestione del porto di Tropea è caratterizzato da estrema e pervasiva irregolarità, illegittimità e persino carenza delle procedure amministrative occorrenti, con correlata estrema facilità per le cosche locali di approfittarne”.

Il pregiudicato nel video accanto al sindaco. La sentenza appellata del Tar Lazio, ad avviso del Consiglio di Stato, ha infine “sottovalutato la circostanza che il pregiudicato affidato al lavoro all’interno del Comune di Tropea”, vale a dire Giuseppe Marchese, e per il quale nel revocare la misura il Tribunale di Vibo Valentia “ha rilevato carenze di controllo e di vigilanza da parte della stessa amministrazione (carenza di controllo di cui il sindaco era stato informato), era la medesima persona che il video acquisito dalla Commissione prefettizia mostrava, sul palco accanto al sindaco neo-eletto, con gesti di esultanza durante il primo saluto pubblico alla popolazione”.

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