sabato,Aprile 20 2024

Quattro curve di vergogna intorno al cantiere del nuovo ospedale: emblema del fallimento vibonese

La strada provvisoria che devia il traffico dalla statale che conduce in città è il simbolo del disastro a cielo aperto che oggi è Vibo Valentia

Quattro curve di vergogna intorno al cantiere del nuovo ospedale: emblema del fallimento vibonese
Il tracciato della strada prima che venisse aperta

Quattro curve e poche centinaia di metri di strada sconnessa, piena di crateri come se fosse stata appena bombardata. L’immagine di questa sciagurata provincia – passata dall’essere l’ombelico felice della Calabria negli anni ’70 e ’80, al disastro a cielo aperto che è oggi – è tutta in quelle quattro curve e in quella striscia d’asfalto malfatta che devia temporaneamente il traffico della statale 606, in entrata e in uscita dalla città, intorno al cantiere del nuovo ospedale.

Una mulattiera

Le condizioni in cui versa la strada

Quella mulattiera sali-e-scendi stile montagne russe, destinata incredibilmente a sostenere il passaggio quotidiano di migliaia di auto, bus e camion, è stata costruita per consentire di realizzare le cosiddette “opere complementari”, tra cui una rotatoria, ma soprattutto interventi di mitigazione del pericolo idrogeologico che avrebbero dovuto risolvere il paradosso dei paradossi: la costruzione di un nuovo ospedale progettato in un’area considerata ad alto rischio. Ma invece di eliminarlo, quelle stesse opere il rischio lo avrebbero aumentano a dismisura, tanto che la Procura di Vibo Valentia ha deciso di sequestrare tutto per evitare quello che nelle carte dell’inchiesta è definita come un “sciagura annunciata”. In particolare, l’incremento della portata idrica di un canale avrebbe pericolosamente accresciuto la possibilità di distruttivi eventi alluvionali.

Il cantiere sequestrato per “disastro ambientale”

Da qui la decisione dei magistrati di mettere i sigilli e fermare tutto, indagando per disastro ambientale colposo sette persone, tra cui alcuni dei massimi dirigenti regionali.
Da 16 anni Vibo Valentia attende il suo nuovo ospedale. Una storia tormentata – costellata di inchieste, ritardi e inefficienze – che è l’emblema della sanità negata e del malgoverno in Calabria.

In una foto tutte le promesse tradite

2004, la posa della prima pietra dell’ospedale di Vibo

La foto ingiallita della posa della prima pietra, che risale al 2004, è ormai un’insuperabile icona del peggio che la Pubblica amministrazione può generare, non solo in termini di risorse sprecate, ma soprattutto di sottosviluppo. Una foto che nel suo valore di documento storico rende drammaticamente ovvio il gap abissale che ci separa da realtà italiane ed europee lontane anni luce dall’arretratezza di questo territorio, dove anche la speranza sembra ormai essersi spenta.

Appalto stellare, strada infernale

Intorno a un appalto di quasi 150 milioni di euro, avviato quando alla nuova moneta neppure c’eravamo ancora abituati e pensavamo ancora in lire (poco meno di 300 miliardi avremmo detto allora), è stata costruita una piccola bretella stradale così imbarazzante per progettazione e realizzazione, che quasi non serviva un’inchiesta della Procura per capire che stava andando tutto a ramengo prima ancora che si cominciasse a fare sul serio.

Già dopo pochi giorni che era entrata in funzione, la strada ha cominciato a cedere a causa della pioggia non adeguatamente drenata. È stata rappezzata, ma è durato poco. Il problema si è ripresentato in fretta, segno che le acque meteoriche in quella zona scavano senza sosta, e l’ipotesi di reato per il quale si indaga – disastro colposo – non appare più solo come l’enfatica imputazione della pubblica accusa.

L’ennesima cicatrice sulla pelle della città

Lì, dove forse prima o poi l’ospedale sorgerà davvero, ci sono quattro curve d’asfalto e buche che ci ricordano ogni giorno quanto asfittica sia la capacità di vedere il futuro in questa provincia e in questa regione. Un morso di strada che nella sua assurda concezione ingegneristica è il degno monumento a una classe dirigente fallimentare, che da decenni riesce a distruggere anche quello che non è ancora stata in grado di costruire. Un nastro nero e butterato che è l’ennesima cicatrice sulla pelle ormai segnata di questa città.

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