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Processo Alluvione a Vibo: reato di disastro colposo non ancora prescritto

Rigettata la richiesta di prescrizione dopo la pronuncia della Corte Costituzionale. Il processo va avanti ma le difese non prestano il consenso alla rinnovazione del dibattimento

Processo Alluvione a Vibo: reato di disastro colposo non ancora prescritto
Una veduta dall'alto di Vibo Marina dopo l'alluvione del 3 luglio 2006

Potrà andare avanti il processo sull’alluvione del 2006 che provocò tre morti e danni per milioni di euro. Il Tribunale collegiale presieduto oggi dal giudice Adriano Cantilena, a latere Graziamaria Monaco e Violetta Romano, ha infatti rigettato la richiesta di dichiarare la prescrizione anche del reato di disastro colposo che – se accolta – avrebbe chiuso per sempre il processo. L’avvocato Tony Crudo, difensore di alcuni imputati, aveva sollevato la questione nelle precedenti udienze, in attesa che la Corte Costituzionale si pronunciasse sulla legittimità costituzionale della legge che raddoppia i termini prescrizionali per i delitti colposi e dolosi. La Corte ha dichiarato la costituzionalità della legge e da qui il rigetto della questione da parte del Tribunale di Vibo Valentia e, quindi, la decisione di andare avanti.

A questo punto, però, atteso il cambio dei giudici del Collegio, le difese degli imputati non hanno prestato il consenso alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Rinvio quindi al 24 aprile prossimo, con il pm che dovrà ricitare in aula tutti i testi sinora sentiti nel processo per chiedere loro se intendono confermare le dichiarazioni già rese nelle precedenti udienze e, eventualmente, sottoporsi a nuove domande.  

Resta quindi in piedi il processo per la sola ipotesi di reato di disastro colposo che vede imputati: Ugo Bellantoni  (in foto), ex dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune di Vibo, difeso dall’avvocato Giovanni Marafioti; Domenico Corigliano, ex comandante della Polizia Municipale di Vibo (avvocato Monaco); Silvana De Carolis, ex dirigente del settore Lavori pubblici e Urbanistica del Comune di Vibo (avvocato Giuseppe Di Renzo); Giacomo Consoli, ex dirigente del settore Lavori pubblici del Comune di Vibo (avvocato Antonello Fuscà); Raffaella, Alessandra, Maria Antonietta e Fabrizio Marzano, proprietari di una strada privata in località “Sughero” (avvocato Antonio Crudo); Pietro La Rosa, responsabile della sorveglianza idraulica dei bacini idrografici nella provincia di Vibo (avvocato Giosuè Megna); Gaetano Bruni (in foto in basso) ex presidente della Provincia di Vibo (avvocati Giovanni Vecchio e Sandro D’Agostino); Paolo Barbieri, ex assessore provinciale ai Lavori pubblici (avvocato Giuseppe Altieri); Giovanni Ricca, responsabile pro tempore dell’Abr (avvocato Vincenzo Adamo); Ottavio Amaro, responsabile pro tempore dell’Abr (avvocato Guido Contestabile); Filippo Valotta (Consorzio industriale), assistito dagli avvocati Vecchio e D’Agostino.

Ben 19, invece, le parti civili, mentre tre sono gli enti chiamati a rispondere quali responsabili civili: il Comune di Vibo, difeso dall’avvocato Nicola Lo Torto, la Provincia di Vibo, assistita dagli avvocati Emilio Stagliano e Francesco Maione, la Regione Calabria, difesa dagli avvocati Michele Rausei e Antonio Montagnese.

Fra le parti civili, oltre ai familiari delle vittime e 17 privati cittadini, ci sono anche il Wwf con l’avvocato Angelo Calzone e Legambiente con l’avvocato Rodolfo Ambrosio.

Altre sei parti civili sono invece assistite dall’avvocato Antonio Porcelli, una a testa dagli avvocati Maria Repice e Antonio Ludovico e due dall’avvocato Giuseppe Costabile. Parte civile anche Bruno Virdò, l’uomo che riportò gravi ferite tentando di salvare il piccolo Salvatore Gaglioti.

Il 25 ottobre 2016 il Tribunale aveva dichiarato la prescrizione (atteso che nessuno degli imputati aveva inteso rinunciarvi per avere un’eventuale assoluzione nel merito) per i reati di omicidio colposo ed omissione d’atti d’ufficio.

Gli imputati dovevano tutti rispondere di aver cagionato con condotte colpose, ognuno per i rispettivi ruoli, la morte del piccolo Salvatore Gaglioti (di soli 16 mesi) e dello zio Ulisse Gaglioti sommersi, unitamente a Nicola De Pascale (altra vittima dell’alluvione), da una colata di fango e detriti sulla Statale 18 nei pressi della non lontana contrada “Sughero”. Nessuno degli imputati ha inteso rinunciare alla prescrizione e pertanto penalmente nessuno pagherà mai per i tre morti dell’alluvione. Resta invece ancora in piedi il reato di disatro ed inondazione colposa. 

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