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Rinascita-Scott: gli assetti mafiosi su Catanzaro e il ruolo dei Mancuso nella faida di Mileto

La deposizione di Tommaso Mazza del clan dei Gaglianesi, il rapporto con gli Arena di Isola, l’omicidio di Pietro Cosimo e le dinamiche criminali sino al reggino

Rinascita-Scott: gli assetti mafiosi su Catanzaro e il ruolo dei Mancuso nella faida di Mileto

Collaboratore di giustizia dal 1995, ex esponente di spicco del clan dei Gaglianesi di Catanzaro, nell’aula bunker di Lamezia – collegato in videoconferenza – è stata la volta di Tommaso Mazza, 71 anni. Dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia, rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro, Andrea Mancuso, il collaboratore ha ripercorso a grandi linee la sua carriera criminale ribadendo quanto già reso diverse volte in tanti altri processi anche in relazione ai legami con i clan vibonesi. Ho iniziato a collaborare – ha spiegato Mazza – perché il mio amico e capoclan, Girolamo Costanzo, faceva il doppio-gioco con un ispettore di polizia e questo non mi stava bene. Facevamo tutti parte del gruppo dei Gaglianesi, che prende il nome dalla frazione di Gagliano di Catanzaro, ed eravamo tutti amici sin dall’infanzia: io, Girolamo Costanzo, Pietro Procopio, Salvatore Vono, Lorenzo Jiritano e tanti altri. Fuori da Catanzaro avevamo come riferimento gli Arena di Isola Capo Rizzuto, poi ognuno aveva le sue singole amicizie. Io per esempio avevo rapporti con i Mannolo di San Leonardo di Cutro e i Giampà di Lamezia”. [Continua dopo la pubblicità]

Girolamo Costanzo

L’EVOLUZIONE CRIMINALE A CATANZARO CITTA’

Sino al 1990 il capo della delinquenza di Catanzaro era Pietro Cosimo, poi Vincenzo Catanzariti. Pietro Cosimo – ha ricordato Mazza – aveva quale riferimento criminale principale il paese di San Sostene. Il mio ruolo principale era quello di riscuotere le estorsioni a Catanzaro, specie sui grossi lavori dove era però necessario rapportarsi agli Arena di Isola Capo Rizzuto. Gli Arena per governare gli affari su Catanzaro città si servivano nei primi anni ’90 di tre persone della zona di San Leonardo di Cutro: Carmine Falcone, Pietro Scerbo e Giovanni Trapasso. Su Catanzaro operavano però anche i Mancuso attraverso Luigi e Giuseppe Mancuso che si servivano di altri ragazzi. Io sono arrivato ad avere il grado mafioso della Santa che mi è stata conferita nel 1991 ad Africo da Antonio Pelle di San Luca e Giuseppe Morabito di Africo. In copiata portavo in dote i Megna ed i Mannolo. E’ il 1990 quando Girolamo Costanzo sfrutta un debito di droga che avevano Pasquale Pititto e Nazzareno Prostamo di San Giovanni di Mileto per incaricarli di uccidere Pietro Cosimo. Omicidio effettivamente avvenuto”. Un fatto di sangue che ridisegna gli equilibri mafiosi a Catanzaro-città e che manda in frantumi il “sogno” di Pietro Cosimo di costituire un autonomo “locale” di ‘ndrangheta a Catanzaro.

Giuseppe Prostamo

I MANCUSO E LA FAIDA DI MILETO

Secondo Tommaso Mazza, i Mancuso di Limbadi erano legati ai Piromalli ed ai Molè di Gioia Tauro, ai Pesce di Rosarno, ai Giampà di Lamezia e agli Arena di Isola Capo Rizzuto. Ma avrebbero avuto anche un ruolo –facendo il doppio-gioco – nella faida di Mileto fra i Galati ed i Prostamo scoppiata nei primi anni ’90. “Carmine Galati di Mileto – ha ricordato Mazza – aveva contrasti con Giuseppe Prostamo di San Giovanni di Mileto a cui facevano capo il fratello Nazzareno Prostamo, Pasquale Pititto e il cognato degli ultimi due Michele Iannello”, vale a dire colui che è stato condannato in via definitiva per l’omicidio del bimbo americano Nicolas Green, ucciso per errore nel settembre 1994 sul tratto vibonese dell’autostrada. Era Carmine Galati quello più legato ai Mancuso, ma dopo un agguato subito da Pasquale Pititto in cui a perdere la vita è stato un fratello di Michele Iannello, i Mancuso – ha spiegato il collaboratore – ne hanno approfittato per far credere a Iannello ed a Pititto di avere il loro sostegno in cambio dell’omicidio di uno degli Evolo di Paravati, effettivamente ucciso da Iannello e Pititto i quali pure in altre occasioni hanno fatto da killer per i Mancuso e per i Molè-Piromalli”. La “testa” di Carmine Galati promessa dai Mancuso ai Prostamo-Pititto-Iannello però non arrivò mai, perdendo invece la vita – quello che veniva ritenuto come il boss di Mileto (Carmine Galati) – in un incidente in campagna con il trattore.

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