venerdì,Dicembre 13 2024

La linea criminale dei Piromalli-Pesce-Mancuso nel racconto dell’ex “padrino” di Cosenza

Franco Pino ed il racconto nel processo Rinascita-Scott del summit a Nicotera per discutere dell’adesione alla linea stragista di Cosa Nostra. I legami con i Bellocco di Rosarno, le guerre di mafia nel Cosentino e gli interventi dei boss Pelle e Morabito

La linea criminale dei Piromalli-Pesce-Mancuso nel racconto dell’ex “padrino” di Cosenza
Franco Pino in una foto degli anni ’80

Regole mafiose, comparaggi e legami da una parte all’altra della Calabria. A svelarli il collaboratore di giustizia Franco Pino, ex boss dell’omonimo clan di Cosenza. Dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia, rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro, Andrea Mancuso, Franco Pino ha spiegato di aver intrapreso la collaborazione con la giustizia nel 1995. “Ho iniziato a delinquere negli anni ’70 a Cosenza, dedicandomi a rapine, estorsioni e contrabbando di sigarette. Tuttavia nel dicembre del 1977 gli equilibri criminali a Cosenza cambiano in quanto viene ucciso davanti al cinema Garden a Roges di Rende, Luigi Palermo, detto U Zorru, ritenuto sino a quel momento il capo della malavita locale. Da quel momento è scoppiata una guerra di mafia fra il mio gruppo, Pino-Sena, e i seguaci di Luigi Palermo. Io stesso sono stato arrestato per l’omicidio di U Zorru, mentre in precedenza – luglio 1978 – ho subito un agguato in Sila quale vendetta dopo la soppressione di Luigi Palermo. Il rimpiazzo nella ‘ndrangheta – ha spiegato il collaboratore – lo ottengo nel 1977 da gente di Cosenza che mi assegna il grado di camorrista. All’epoca ero vicino ai fratelli Curcio che erano ‘ndranghetisti e mi hanno dato insieme le doti di picciotto e camorrista. I Curcio erano seguaci del boss Antonio Sena”. [Continua dopo la pubblicità]

Antonio Sena

Quindi la rottura del gruppo Sena con i fratelli Curcio, uno dei quali (Aldo) viene ucciso ed un altro (Sante) subisce un tentato omicidio. Ho incontrato nel carcere di Cosenza Nino Gangemi di Gioia Tauro – ha spiegato Franco Pino – e fu lui a dirmi che non potevo portare nella mia copiata mafiosa il nome di Sante Curcio, cioè della stessa persona che mi aveva accusato facendomi finire in carcere pur essendo io solo presente al suo tentato omicidio. Sono stato così spogliato a livello mafioso delle precedenti doti ricevute e di nuovo rimpiazzato con il grado dello sgarro che mi è stato conferito dallo stesso Gangemi. Nella nuova copiata portavo i nomi di Nino Gangemi, Giuseppe Piromalli detto Mussu Stortu, Nino Pesce e Franco Muto.

Umberto Bellocco

Ho ricevuto poi il grado della Santa in carcere a Cosenza. In questo caso è stato il boss Umberto Bellocco di Rosarno a conferirmi tale grado unitamente a quelli successivi di Vangelo e Trequartino, portando in copiata lo stesso Umberto Bellocco, Antonio Sena e Franco Muto di Cetraro. Nel 1983 sono poi stato detenuto nel carcere di Palmi per il processo denominato “Mafia delle tre Province” nato dalle dichiarazioni del collaboratore Pino Scriva. Siccome proprio Pino Scriva aveva svelato i gradi nella ‘ndrangheta sino al Trequartino, Umberto Bellocco mi diede un nuovo grado creato per non essere conosciuto e rimanere riservato, quello di Diritto e Medaglione. Nel carcere di Palmi ero detenuto con i Bellocco, Giuseppe Pesce, Franco Muto di Cetraro, Luigi e Giuseppe Mancuso, tutti imputati nel processo alla c.d. Mafia delle tre Province”. [Continua in basso]

Antonino Pesce

IL SUMMIT A NICOTERA PER DISCUTERE LA STRATEGIA STRAGISTA DEI SICILIANI

E’ il 1992 quando Franco Pino incontra di nuovo il boss di Limbadi Luigi Mancuso. E’ un’occasione del tutto particolare perché i siciliani dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio, in cui sono morti i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, avevano mandato attraverso Totò Riina l’invito ai mafiosi calabresi di unirsi a loro nella strategia stragista “colpendo in particolare – ha svelato Franco Pino – le caserme dei carabinieri in Calabria. Ricevuto l’invito per la riunione, io e il mio braccio-destro Umile Arturi ci siamo recati a Limbadi a casa di Luigi Mancuso ma qui abbiamo trovato un suo nipote che ci ha condotto a Nicotera Marina al villaggio Sayonara dove abbiamo incontrato Luigi Mancuso, Santo Carelli di Corigliano, Silvio Farao e Cataldo Marincola di Cirò, Nino Pesce di Rosarno, Franco Coco Trovato di Marcedusa ma residente in Lombardia e un De Stefano da Reggio Calabria. Ad illustrare la proposta dei siciliani sono stati Nino Pesce e Franco Coco Trovato. C’è stato un breve scambio di battute, ricordo che Luigi Mancuso non condivideva tale richiesta dei siciliani. Per parte mia e di Cosenza, io diedi adesione a ciò che avrebbero deciso i Piromalli, Nino Pesce e i Mancuso”.

Pino Piromalli

L’INTERVENTO DEI MOLE’ IN FAVORE DEL DOTTORE FONDACARO

Per spiegare però il particolare legame che legava Franco Pino ai clan di Gioia Tauro, l’ex boss di Cosenza ha raccontato un episodio specifico che ha riguardato un prestito da cento milioni di lire ottenuto nei primi anni ’90 da Marcello Fondacaro, medico ed imprenditore di Gioia Tauro, proprietario di alcuni laboratori di analisi ed oggi collaboratore di giustizia. Il dottore Marcello Fondacaro – ha ricordato Pino – aveva ottenuto un prestito ad usura dal cosentino Mario Coscarella con un tasso di interesse per 10 milioni al mese. Marcello Fondacaro era però amico di Mommo Molè il quale sequestrò Mario Coscarella chiedendogli spiegazioni sulle ragioni del prestito ad usura elargito al dottore Fondacaro. Coscarella, per paura di Molè, disse che i soldi glieli avevo prestati io. Mommo Molè lasciò così andare Mario Coscarella ed io venni convocato a Gioia Tauro dallo stesso Molè e da Pino Piromalli dove, presente pure Luigi Mancuso, ho azzerato tutto il debito di Fondacaro per il rispetto che io avevo nei confronti dei Molè-Piromalli. Anticipai io 50 milioni al dottore Fondacaro con Molè che mi disse che me li avrebbe restituiti ma senza interessi. E così avvenne”. [Continua in basso]

Giuseppe Piromalli (cl. ’21)

LA COMUNE LINEA CRIMINALE CON I PIROMALLI

Franco Pino ha così spiegato di aver a quel tempo condiviso la medesima “linea” criminale seguita dai Mancuso di Limbadi, dai Molè-Piromalli di Gioia Tauro, dai Pesce e dai Bellocco di Rosarno e dai De Stefano di Reggio Calabria. “Erano tutti sullo stesso livello – ha riferito Franco Pino – con un maggior rispetto che si notava da parte di tutti solo nei confronti di Giuseppe Piromalli, cl. ’21, detto Mussu Stortu, l’anziano boss omonimo del nipote Pino Piromalli. Dai discorsi che si facevano, capivo in ogni caso che a Luigi Mancuso poco interessavano le doti di ‘ndrangheta ed anzi aveva un atteggiamento disincantato su queste cose o comunque più pratico ed era rispettato soprattutto in quanto “Luigi Mancuso”. Tuttavia anche lui aveva delle doti ed anzi era ai livelli dei Piromalli. La linea di ‘ndrangheta dei Piromalli e di Luigi Mancuso portava a Reggio Calabria, sino ai De Stefano”.

Giuseppe Morabito

LA LINEA CRIMINALE DEI PELLE E DEI MORABITO

Franco Pino ha poi ricordato che esisteva un’altra linea criminale guidata da personaggi del calibro criminale di Antonio Pelle di San Luca, detto “Gambazza”, e Giuseppe Morabito, alias “Tiradritto”, di Africo, entrambi molto rispettati anche dai Piromalli-Pesce-Mancuso. “Ho conosciuto sia Antonio Pelle che Giuseppe Morabito – ha riferito Pino – anche perché Santo Carelli di Corigliano voleva eliminare Leonardo Portoraro di Francavilla Marittima poiché vicino a Giuseppe Cirillo e Mario Mirabile, quest’ultimo già ucciso. Carelli si rivolse a me ed io ho fornito due killer per ucciderlo. Tuttavia ci fu un errore e vennero eliminate altre persone, fra cui un fratello di Portoraro. A quel punto presero posizione e vennero a trovarmi Peppe Morabito e Antonio Pelle che sono rimasti a casa mia per tre giorni per discutere di tale situazione. Alla fine Leonardo Portoraro non venne toccato”. Appuntamento con la morte, in ogni caso, solo rimandato per Leonardo Portoraro. Oltre vent’anni dopo, il 6 giugno 2018, è stato infatti ammazzato davanti al suo bar a Villapiana.

Luigi Mancuso

I VIBONESI E L’INTERVENTO PER IL GIOIELLIERE

Infine, il racconto di Franco Pino sulla conoscenza in carcere negli anni ’80 con Francesco Fortuna di Vibo Valentia, alias “Ciccio Pomodoro”, il quale – a detta del collaboratore – pur avendo avuto dei contrasti con i Mancuso, “quando parlava di loro ne aveva grande considerazione criminale e li rispettava. Ricordo che questo Francesco Fortuna era una persona molto attiva e rispettata, molto educata”.
Per far capire però quanto i Mancuso già negli anni ’80 avessero un peso criminale di prima grandezza, Franco Pino ha ricordato che “Luigi Mancuso intervenne per risolvere una questione legata ad un’estorsione al gioielliere Allegrini di Cosenza da parte del gruppo rivale al nostro, vale a dire i Perna. Insieme a Luigi Mancuso si recò pure uno degli Arena di Isola Capo Rizzuto ma in tale occasione non riuscirono ad evitare l’estorsione da parte dei Perna”.

A controesaminare Franco Pino, gli avvocati Paride Scinica, Giuseppe Di Renzo, Francesco Calabrese, Stefano Luciano, Giorgia Greco, Giuseppe Bagnato e Francesco Lione.

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