martedì,Aprile 23 2024

Rinascita-Scott: Moscato e i ruoli degli affiliati ai clan nella città di Vibo

L'assalto armato al furgone della polizia penitenziaria per far evadere il boss Bruno Emanuele e l'idea di uccidere il pentito Tonino Forastefano. Gli sconti nei negozi, l'amico carabiniere, l'usura e le estorsioni

Rinascita-Scott: Moscato e i ruoli degli affiliati ai clan nella città di Vibo
Nel riquadro Raffaele Moscato e Bruno Emanuele

Sognava la libertà il boss delle Preserre vibonesi, Bruno Emanuele, prima che finisse al carcere duro. E la sognavano anche i suoi più fidati sodali: il fratello Gaetano Emanuele ed il cognato Nuccio Idà. Insieme al clan dei Piscopisani era stata infatti programmata un’evasione in grande stile con un assalto armato al furgone della polizia penitenziaria che lo stava trasportando a Cosenza per un processo per degli omicidi consumati a Cassano insieme al clan Forastefano. Insieme ai Piscopisani – Raffaele Moscato, Angelo David e Stefano Farfaglia – dovevano esserci infatti anche uomini dei Forastefano di Cassano. Dovevamo assaltare il furgone – ha riferito in udienza il collaboratore Moscato – e una volta liberato Bruno Emanuele doveva essere portato a Cassano. L’idea di Bruno Emanuele era quella di far credere a tutti, dopo l’evasione, di essere stato rapito ed ucciso dal clan Abbruzzese di Cassano facendo mettere la propria famiglia a lutto. In realtà l’intenzione era quella di darsi alla latitanza e di uccidere Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni. Ci siamo appostati due volte – ha riferito il collaboratore – dentro un furgone con giubbini antiproiettili ed armi, ma il piano è non è andato a buon fine. Ricordo che è venuto pure Domenico Tassone di Soriano, il ragazzo vero obiettivo della sparatoria in cui ci ha rimesso la vita Filippo Ceravolo. In precedenza Domenico Tassone si era tirato indietro quando si doveva uccidere Tonino Forastefano che si era buttato pentito e Bruno Emanuele sapeva la località dove si trovava. Nuccio Idà ci disse tuttavia che Domenico Tassone era uno che sapeva sparare bene”. [Continua in basso]

Salvatore Mazzotta

L’esame di Raffaele Moscato è quindi proseguito con tanti riferimenti ai singoli imputati di Rinascita-Scott. “Salvatore Mazzotta – ha spiegato – operava a Pizzo ma era originario di Soriano. Nuccio Idà non voleva affiliarlo e così ci abbiamo pensato noi Piscopisani ad inserirlo nella ‘ndrangheta con un battezzo che è avvenuto in carcere alla presenza anche di Salvatore Carone di Tropea ed Emanuele Valenti di San Gregorio d’Ippona. Abbiamo dato a Mazzotta il grado dello sgarro. Nel carcere di Siano-Catanzaro – ha dichiarato il collaboratore – le affiliazioni alla ‘ndrangheta erano all’ordine del giorno.

Franco Barba

Franco Barba, invece, era un affiliato del clan Lo Bianco di Vibo e faceva il costruttore. Ha costruito mezza Vibo ed era appoggiato anche da Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni. Ha fatto lui le villette dove stavano Francesco Scrugli e Andrea Mantella. Il figlio si è invece comprato una Bmw M3 da Rosario Battaglia del valore di quarantamila euro ma ha pagato con assegni protestati ed il padre facendosi forte del legame con Mancuso non voleva pagare. Per tale motivo noi Piscopisani avevamo intenzione – ha continuato Moscato – di sparare a Franco Barba.
Nicola Barba è invece un usuraio ed aveva un locale a Pizzo, mentre Enzo Barba, detto Il Musichiere, era ai vertici del clan Lo Bianco e si occupava di usura ed estorsioni. [Continua in basso]

Vincenzo Barba

Quello di Enzo Barba è un nome importante nell’ambiente malavitoso di Vibo e faceva usura anche insieme a mio zio Domenico Moscato che a Vibo Valentia aveva un tabacchino. Domenico Moscato, inoltre, era intimo pure con Diego Bulzomì, dalla mattina alla sera insieme, e pure Bulzomì si è aperto un tabacchino e faceva usura girando il denaro di Saverio Razionale, mentre mio zio si è cresciuto con i Lo Bianco. Filippo Catania – ha ripreso il collaboratore – con Paolo Lo Bianco era invece posto ai vertici del clan e del locale di ‘ndrangheta di Vibo Valentia. Filippo Catania era cognato del defunto boss Carmelo Lo Bianco, detto Piccinni, padre di Paolo Lo Bianco. Il gruppo di Andrea Mantella era intenzionato ad uccidere Enzo Barba e tenersi invece buono Filippo Catania”.

L’esame di Raffaele Moscato è poi proseguito soffermandosi su altri imputati e personaggi (anche non imputati) di Vibo. “Carmelo D’Andrea, detto Coscia d’Agneju, era da una vita nel clan Lo Bianco ed era una persona seria. Il fratello – ha dichiarato Moscato – era un ex killer, il braccio armato del clan Lo Bianco e faceva l’ambulante. Giovanni D’Andrea e Pasquale D’Andrea sono i figli di Carmelo D’Andrea ed erano nel gruppo Lo Bianco, facevano rapine, qualche estorsione e droga. Andavano nei supermercati e non pagavano la spesa ed erano insieme ad un certo Cutrullà di Vibo. Il cugino Pasquale D’Andrea – ha spiegato ancora il collaboratore di giustizia – stava invece a Bivona ed era molto legato a Rosario Battaglia e trafficava droga. [Continua in basso]

Sergio Gentile

I fratelli Sergio ed Ivan Gentile venivano invece chiamati Toba. Ivan nel 2005 si prendeva la cocaina da me. Sergio l’ho invece incontrato al Pequod, locale dei Piscopisani, e lì mi disse che stava organizzando una rapina con Francesco Macrì alla Posta di Ionadi e mi propose di partecipare. Sergio Gentile si rispettava con il gruppo Mantella e nel 2012 camminava con Francesco Macrì. Ha fatto tanti anni di carcere – ha ricordato Moscato – per un omicidio e sapevo che era stato battezzato nella ‘ndrangheta ma non ricordo in quale gruppo. Carmelo Chiarella stava invece nel gruppo di Mantella ed era sempre presente quando si portavano imbasciate. Mommo Macrì è il figlio di Antonio Macrì, quest’ultimo posto al vertice del nuovo locale di Vibo. Mommo Macrì era l’azionista di Andrea Mantella e Salvatore Morelli e si occupava di fare danneggiamenti. In un’occasione – ha ricordato Moscato – venne con me ed Angelo David per pestare un tale Totonno di Tropea che gestiva una bisca insieme ad un medico di cui non ricordo il nome. Per intimorire quelli della bisca, Mommo Macrì a Tropea si mise a sparare per aria. Era il 2010“.

Domenico Macrì
Marco Startari

Ed ancora: “Marco Startari era il cognato di Salvatore Morelli ed aveva un bar a Vibo che voleva incendiare per truffare l’assicurazione. Così io e Mommo Macrì siamo andati ad incendiarlo ma Mommo Macrì, nonostante io gli avessi detto di stare attento, sbagliò e si incendiò lui tutta la schiena ed è stato ricoverato in ospedale. Era il 2010. Da latitante, invece, Mommo Macrì lo tenevano nel palazzo della famiglia Macrì. Era riuscito a sfuggire all’arresto di Goodfellas poichè alle forze dell’ordine aveva detto che andava un attimo in bagno a fare una doccia prima di essere portato in carcere ed invece è fuggito dalla finestra. In altri periodi Mommo Macrì ha fatto la latitanza in una casa vicino al 501 hotel. Marco Startari accompagnava la sorella ai colloqui in carcere con Morelli e quindi portava le imbasciate di Salvatore Morelli che all’epoca era detenuto. Altro cognato di Morelli era Domenico Tomaino, pure lui facente parte del gruppo Mantella. L’ho conosciuto e so che Rosario Battaglia gli ha venduto un’auto“.

Luciano Macrì

Raffaele Moscato si è quindi soffermato su altri imputati. “Luciano Macrì di Vibo Marina è battezzato nella ‘ndrangheta ed era amico di Michele Palumbo e di Antonio Vacatello. Quando Palumbo viene ucciso si è recato a Piscopio per chiedere a Rosario Battaglia di essere lasciato in pace e che era disposto pure ad andarsene dal Vibonese. Ma Rosario Battaglia negò ogni coinvolgimento nel delitto Palumbo. Luciano Macrì ha poi fatto un danneggiamento a colpi di pistola insieme a Raffaele Pardea alla pizzeria Pedro di Vibo Marina il cui proprietario non era sotto estorsione da parte di nessuno ed era un tipo che denunciava subito. Luciano Macrì ha poi fatto pure un danneggiamento alla vetreria De Fina. Stava dando fastidio – ha dichiarato Moscato – e per questo noi Piscopisani lo volevamo uccidere anche se era nel gruppo di Domenico Camillò di Vibo Valentia“.

Salvatore Morelli

Gli sconti nei negozi ed il carabiniere infedele

Raffaele Moscato ha infine elencato tre negozi di abbigliamento di Vibo Valentia dove Andrea Mantella e compagni ricevevano forti sconti. “Salvatore Morelli, Andrea Mantella, Francesco Scrugli, Francesco Antonio Pardea e Mommo Macrì – ha dichiarato il collaboratore – venivano trattati con sconti dal 30 al 50% in alcuni negozi di abbigliamento di Vibo in quanto malandrini. Così accadeva da Bongiovanni, da Giannini e da Artusa”. Quindi il riferimento al circolo di biliardo “Il Diamante” di Vibo, trasformato in una bisca clandestina “dove si giocava a bacarà ed era socio Mimmu U Zazzu, ovvero Domenico Lo Bianco che è parente di Mantella, insieme a Diego Bulzomì, Rosario Fiorillo e Michele Fiorillo”. Quanto al carabiniere, poi identificato dagli investigatori in Antonio Ventura, 50 anni, nativo di Altamura (Ba), ma residente a Vibo Valentia, appuntato scelto, all’epoca dei fatti in servizio al Reparto Operativo Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Vibo, Moscato ha dichiarato: “Informò i Piscopisani che saremmo stati arrestati per droga e che io, Scrugli e Davide Fortuna eravamo indagati per l’omicidio di Fortunato Patania. Rosario Battaglia una volta lo vide in un locale con la famiglia e gli pagò la cena perchè sosteneva che gli diceva tante cose. Anche a Scrugli il carabiniere passava notizie“. Antonio Ventura è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e di tre ipotesi di rivelazione di segreti d’ufficio.

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