sabato,Aprile 27 2024

Rinascita-Scott: Moscato e la ‘ndrangheta vibonese, fra scontri e tentativi di pace

Il collaboratore di giustizia ha delineato i rapporti fra il clan dei Piscopisani ed i Mancuso. Gli omicidi fra i Lo Bianco ed i Fiarè-Razionale-Gasparro e le mani su Vibo

Rinascita-Scott: Moscato e la ‘ndrangheta vibonese, fra scontri e tentativi di pace

Ancora il collaboratore di giustizia, Raffaele Moscato, di scena al maxiprocesso Rinascita-Scott contro i clan del Vibonese. E’ toccato al pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci condurre oggi l’esame ed esplorare nuovi temi ad iniziare dai messaggi mandati dal boss Luigi Mancuso ai Piscopisani per siglare la pace ma mai pervenuti a tale ultimo clan. L’imbasciata per la pace a noi Piscopisani – ha dichiarato Moscato – non è mai arrivata nonostante diversi incontri nel Natale del 2012 con i sangregoresi – Gregorio Giofrè, Saverio Razionale, Gregorio Gasparro – nelle campagne a Piscopio di Giuseppe D’Angelo, detto Pino Il Biricchino. Rosario Battaglia sosteneva che sia Gasparro che Razionale non avevano portato l’imbasciata di Luigi Mancuso, poiché Gasparro e Razionale facevano il doppio-gioco”. [Continua in basso]

Cosmo Michele Mancuso

I rapporti fra i Piscopisani ed alcuni componenti del clan Mancuso di Limbadi sarebbero stati pessimi, con altri invece, almeno apparentemente, dei rapporti di distensione. “Cosmo Michele Mancuso – ha ricordato Moscato – ogni Natale, attraverso il figlio Michele, inviava a noi Piscopisani del vino. Lo stesso Cosmo Michele Mancuso manteneva poi ottimi rapporti con i Tripodi di Portosalvo che si recarono pure ad un matrimonio dei Mancuso. Questo fatto non era ben visto da noi Piscopisani, tanto che Rosario Battaglia rimproverò più volte i Tripodi, con cui erano parenti, per il mantenimento di simili rapporti con i Mancuso. Con Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, c’era invece un odio profondo, tanto che Rosario Fiorillo mi mostrò anche una pistola con la quale aveva intenzione di sparare in faccia a Scarpuni. Anche Salvatore Cuturello, che ha sposato la figlia del boss Giuseppe Mancuso, voleva morto Pantaleone Mancuso, così come Antonio Campisi di Nicotera che imputava a Scarpuni l’omicidio del padre Mimmo Campisi ucciso nel 2011”.

Pantaleone Mancuso (Scarpuni)

Lo scontro aperto fra il clan dei Piscopisani e l’articolazione del clan Mancuso facente capo a Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, avviene tuttavia con l’eliminazione da parte del gruppo dei Piscopisani e dei Tripodi di Portosalvo di Michele Palumbo, l’assicuratore ucciso a Longobardi nella sua villetta nel 2010 e che sarebbe stato l’uomo di Scarpuni per il controllo dell’area delle Marinate di Vibo. “Nel 2010 dopo l’omicidio Palumbo, realizzato dai Piscopisani e dai Tripodi, il gruppo Mancuso – ha ricordato Moscato – è andato a sparare in piazza a Piscopio a Rosario Battaglia, ma nell’occasione è invece rimasto ferito il fratello Giovanni che si trovava davanti al bar. E’ a questo punto che i Piscopisani, in particolare Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo, impongono a Salvatore Tripodi di indicargli la casa di Scarpuni a Nicotera. Pantaleone Mancuso doveva morire ed ai propositi di vendetta dal 2011 si è unito pure Antonio Campisi che voleva vendicare l’omicidio del padre”. [Continua in basso]

Luigi Mancuso

Luigi Mancuso “presidente” della ‘ndrangheta ed il Crimine a Vibo

E’ a questo punto che Raffaele Moscato spiega le reali intenzioni di Luigi Mancuso, libero dal luglio 2012 dopo aver scontato 19 anni di ininterrotta detenzione. “Luigi Mancuso è il capo storico di tutta la ‘ndrangheta del Vibonese e aveva intenzione – ha riferito il collaboratore – di creare un Crimine a Vibo, una struttura di ‘ndrangheta staccata dal Reggino e dal Crimine di Polsi. Luigi Mancuso era una sorta di presidente della ‘ndrangheta. Aveva rapporti con gli Arena ed i Nicoscia di Isola Capo Rizzuto, con i Farao ed i Marincola di Cirò e Nicolino Grande Aracri di Cutro”. Per spiegare i nuovi mutamenti in atto, Raffaele Moscato ha così spiegato la particolarità di alcuni “battezzi” di ‘ndrangheta. Sono stati Mommo Macrì, Salvatore Morelli e Antonio Pardea, tutti di Vibo Valentia, a battezzare nel carcere di Catanzaro Giuseppe Soriano di Filandari, figlio del defunto Roberto Soriano. Nella copiata mafiosa di Giuseppe Soriano i vibonesi hanno inserito il nome di Luigi Mancuso che aveva mandato il suo Ok per la copiata dal piano superiore del carcere dove si trovava all’epoca detenuto. Nella stessa occasione – ha poi aggiunto Moscato – è stato dato lo sgarro a Giuseppe Garzo, anche lui di Vibo. In quel periodo, fra l’altro, Antonio Pardea si accompagnava in carcere ad Emilio Bartolotta di Stefanaconi“.

Gianfranco Ferrante

La figura di Gianfranco Ferrante

Rispondendo alle domande del pm, Raffaele Moscato si è poi soffermato sulla figura dell’imprenditore Gianfranco Ferrante di Vibo Valentia, fra i principali imputati del maxiprocesso Rinascita-Scott. “Gianfranco Ferrante del Cin cin bar di Vibo – ha riferito il collaboratore – aveva buoni rapporti sia con i Lo Bianco che con i Mancuso ai quali cambiava gli assegni. Anche il gruppo di Andrea Mantella e Francesco Scrugli, quindi Salvatore Morelli, Domenico Macrì e Antonio Pardea, rispettava molto Ferrante e non gli fecero mai estorsioni. Ricordo anche che Rosario Battaglia, per dare soddisfazione a Ferrante, in un’occasione pestò in campagna un tale Carnovale che si era permesso di farsi cambiare da Ferrante un assegno poi risultato protestato. Ferrante – ha aggiunto il collaboratore – si rispettava molto anche con Diego Bulzomì di Vibo Valentia. Anche Damiano Vallelunga, il boss di Serra San Bruno, ci teneva a Ferrante e mandò a dire ad Andrea Mantella di evitare estorsioni in quanto Ferrante con il suo locale li avrebbe trattati bene facendogli pagare poco”. [Continua in basso]

Saverio Razionale

L’omicidio Fortuna e lo scontro fra Vibo e San Gregorio

Raffaele Moscato ha poi ripercorso alcune specifiche vicende, come i contrasti fra i Fiarè-Razionale-Gasparro e Francesco Fortuna, detto “Ciccio Pomodoro”, di Vibo, quest’ultimo ucciso a Pizzo nel 1988, indicato quale capo all’epoca del clan Lo Bianco-Fortuna. “E’ stato Ciccio Pomodoro – ha spiegato il collaboratore – ad uccidere a San Gregorio d’Ippona negli anni ’80 Pino Gasparro, padre di Gregorio Gasparro, dopo un furto di animali. All’omicidio di Gasparro reagì Saverio Razionale che era cognato della vittima. So che poi Ciccio Pomodoro è stato ucciso a Pizzo da Claudio Fiumara di Francavilla Angitola per fare un favore a Razionale. Ciò mi fu detto da Rosario Battaglia e Antonio Pardea”. Da precisare che l’omicidio di Francesco Fortuna è ad oggi impunito e a Claudio Fiumara non è mai stata mossa alcuna contestazione al riguardo. Da ricordare, inoltre, che tale racconto in ordine agli esecutori materiali del delitto non corrisponde alle dichiarazioni sul delitto fatte dai collaboratori Pasqualino D’Elia (che si è accusato di essere fra gli esecutori materiali dell’omicidio unitamente ai Pagliuso di Lamezia su mandato dei Fiarè) e Andrea Mantella. Dopo l’omicidio di Francesco Fortuna – ha ricordato Moscato – i Mancuso e i Fiarè-Gasparro-Razionale presero potere a Vibo Valentia”.

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