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Rinascita: Moscato e l’escalation dei Piscopisani fra droga, omicidi e legami con gli altri clan

Il collaboratore di giustizia si è soffermato anche sul ruolo dei Mancuso, dei Gasparro-Razionale e dei La Rosa, sulla faida con i Patania di Stefanaconi e sui locali controllati dalla cosca

Rinascita: Moscato e l’escalation dei Piscopisani fra droga, omicidi e legami con gli altri clan

Droga, estorsioni, acquisto di locali commerciali, progetti di morte e rapporti con diversi clan della ‘ndrangheta della regione. Raffaele Moscato al suo esordio nel maxiprocesso Rinascita-Scott non si è solo soffermato sui rapporti della cosca con l’ex consigliere regionale, Pietro Giamborino, con l’imprenditore Gianfranco Ferrante ed i fratelli Artusa, ma ha spaziato anche su diversi temi, chiamando in causa molti personaggi. Ho iniziato a collaborare nel marzo del 2015 per cambiare vita. Facevo parte della cosca dei Piscopisani e sono stato affiliato nel 2010 in una campagna di Piscopio alla presenza di Rosario Battaglia, Rosario Fiorillo, Giuseppe Brogna, Stefano Brogna, Domenico D’Angelo e Nazzareno Fiorillo. Ero un azionista ed ho preso parte alla faida contro i Patania di Stefanaconi. Nel 2012 ho ricevuto nel carcere di Catanzaro le doti di ‘ndrangheta della camorra e dello sgarro”. Presenti alla “cerimonia” di promozione mafiosa di Moscato, Emanuele Valenti di San Gregorio d’Ippona – condannato nel 2014 all’ergastolo per l’omicidio dell’allora 24enne Michele Brogna, ucciso il 18 febbraio 2009 in località “Favazzina” di Zammarò – e Salvatore Carone di Tropea. [Continua in basso]

Nazzareno Fiorillo

Nel 2013-2014, nel carcere di Frosinone – ha continuato Moscato – mi hanno invece dato le doti della Santa e del Vangelo, nella stessa circostanza. Erano presenti Rosario Battaglia, Paolo Lentini del clan Arena di Isola Capo Rizzuto e Giuseppe Ranieri della cosca Gualtieri di Lamezia. I vertici del clan dei Piscopisani erano rappresentati da Nazzareno Fiorillo, detto U Tartaru, che era il capo locale, da Pino Galati, che era il capo società, e poi da Rosario Battaglia, Rosario Fiorillo e Michele Fiorillo (alias Zarrillo) che avevano tutti la dote del Vangelo. Il nuovo locale di ‘ndrangheta di Piscopio è nato nel 2009 in quanto Nazzareno Fiorillo e Pino Galati già facevano parte della vecchia società di Piscopio ed hanno avuto l’appoggio di Franco D’Onofrio, originario di Mileto ma residente in Pimonte, Giuseppe Catalano di Siderno ma che stava a Torino, Giuseppe e Rocco Aquino di Marina di Gioiosa Ionica, Giuseppe Pelle di San Luca e Giuseppe Commisso pure lui di Siderno. La vecchia società di Piscopio era una ‘ndrina che rispondeva a San Gregorio d’Ippona ed era guidata da Ciccio D’Angelo, detto Ciccio Ammaculata. Di tale vecchia ‘ndrina faceva parte l’ex consigliere regionale e provinciale Pietro Giamborino che poi è passato con noi e aderiva al nuovo locale. Anche il padre di Giovanni Giamborino faceva parte della società di Piscopio. Il nuovo locale di ‘ndrangheta – ha ricordato Moscato – oltre che su Piscopio aveva competenza su Longobardi e Vibo Marina e, dopo l’omicidio di Michele Palumbo, che era l’uomo di Pantaleone Mancuso nella zona delle Marinate, è nata l’unione criminale fra i Piscopisani ed i Tripodi di Portosalvo. I Tripodi, infatti, sono anche cugini dei Battaglia-Fiorillo. In seguito i Piscopisani sono diventati alleati anche del gruppo di Vincenzo Papasidero di Cinquefrondi, che avevano una faida con i Fossari appoggiati invece dai Patania di Stefanaconi, e poi alleanze pure con i Gualtieri di Lamezia e con Paolo Lentini del clan Arena di Isola Capo Rizzuto”.

Gregorio Gasparro

Le alleanze dei Piscopisani

Il collaboratore di giustizia è così passato a spiegare le alleanze dei Piscopisani con altri clan di ‘ndrangheta. I Piscopisani erano appoggiati dai Bonavota di Sant’Onofrio, dagli Emanuele delle Preserre, dai Gasparro-Razionale di San Gregorio d’Ippona, da Salvatore Cuturello di Nicotera Marina, che ha sposato la figlia di Giuseppe Mancuso, detto ‘Mbrogghja, e da Antonio Campisi, pure lui di Nicotera e figlio di Domenico Campisi, il broker della droga ucciso nel 2011. Tali clan volevano tutti morto Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, anche se i Gasparro-Razionale facevano il doppio-gioco. In particolare, mentre i cugini Rosario e Michele Fiorillo si erano cresciuti a San Gregorio d’Ippona con Gregorio Gasparro, Razionale tentennava e – ha aggiunto Moscato – so che nelle campagne di Giuseppe D’Angelo di Piscopio, detto Pino il Biricchino, ci sono stati degli incontri con Saverio Razionale. [Continua in basso]

Bruno Emanuele

Il nostro gruppo aveva infatti chiesto a Gasparro e Razionale di uccidere per nostro conto Francesco Lopreiato, cognato di Salvatore Patania, killer dei Patania di Stefanaconi, ma che abitava a San Gregorio d’Ippona. I Piscopisani erano appoggiati pure da Gregorio Giofrè di San Gregorio d’Ippona, mentre con Nuccio Idà e Gaetano Emanuele di Gerocarne era in programma l’assalto armato al furgone blindato che doveva trasportare il boss Bruno Emanuele. L’intenzione, poi sfumata, era di farlo evadere”.

Domenico Bonavota

I nuovi assetti e la pace mancata

Il clan dei Piscopisani sarebbe stato intenzionato ad eliminare anche altri personaggi. “Dopo l’omicidio di Francesco Scrugli nel marzo del 2012, cognato e braccio-destro di Andrea Mantella, ma che era entrato nel nostro gruppo durante la detenzione di Mantella ed aveva il grado mafioso del trequartino che gli era stato conferito in carcere dagli Zagari di Taurianova, Domenico Bonavota ci mandò a chiamare. Andai io – ricorda Moscato – a casa di Domenico Bonavota mandato da Rosario Battaglia e qui Bonavota mi portò nel bagno, aprì i rubinetti per far scorrere l’acqua temendo di essere intercettato, e mi disse che il nuovo capo del locale di ‘ndrangheta di Stefanaconi era diventato Salvatore Patania, fratello di Fortunato Patania, quest’ultimo ucciso da me e dai Piscopisani nel settembre 2011 per vendicare l’omicidio di Michele Mario Fiorillo commesso dai Patania”. [Continua in basso]

Pantaleone Mancuso (Scarpuni)

Quindi il tentativo di uccidere Andrea Patania, cugino dei fratelli Patania (Giuseppe, Salvatore, Saverio, Nazzareno e Bruno Patania, tutti figli di Fortunato Patania), ad opera dello stesso Moscato e di Giovanni Emmanuele, quest’ultimo cugino del boss di Gerocarne Bruno Emanuele. “I Patania – ha spiegato Moscato – mandarono a noi Piscopisani un messaggio per siglare la pace, ma non mantennero i patti perché poi andarono a sparare sotto casa a Rosario Fiorillo. Sapevamo che i Patania nel corso della faida godevano del sostegno di Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, e per questo noi Piscopisani volevamo uccidere pure Nazzareno Colace di Portosalvo, che sapevamo essere vicinissimo a Scarpuni. Siamo stati noi Piscopisani ad uccidere Mario Longo di Vibo Marina sulla strada per Triparni in quanto sapevamo che faceva delle soffiate a Pantaleone Mancuso contro il nostro gruppo”.

Mario Lo Riggio

Le armi, le estorsioni e i locali dei Piscopisani

Raffaele Moscato è poi passato a spiegare la potenza di fuoco dei Piscopisani, detentori di numerose armi fra pistole, fucili, mitragliette. Ricordo – ha aggiunto Moscato – che D’Onofrio ci mandò pure un bazooka per sostenerci nella guerra contro i Patania. Avevamo un vero e proprio arsenale, compresi alcuni giubbini anti-proiettili. Rosario Battaglia si riforniva di armi a Sant’Angelo di Gerocarne e ricordo che le armi venivano tenute in diversi posti ed in particolare in un palazzo in piazza a Piscopio dinanzi al bar di Giovanni Battaglia, fratello di Rosario Battaglia. Il quartier generale, la base del clan dei Piscopisani era una campagna di Nazzareno Fiorillo. Era lì che ci riunivamo per parlare e decidere le strategie del gruppo. I Piscopisani avevano anche un circolo-bisca a Pizzo, poi erano soci del circolo Diamante a Vibo ed avevano diversi bar: uno a Piscopio, l’American bar in piazza Municipio a Vibo, altri due bar a Bologna, un altro a Vibo Marina vicino il corso, il pub Pequod a Vibo ed il negozio di abbigliamento sul corso di Vibo. Ricordo che abbiamo chiesto diecimila euro a titolo di estorsione all’imprenditore Mario Lo Riggio”. Mario Lo Riggio è fra gli imputati di Rinascita-Scott con l’accusa di essere vicino ai clan di Vibo e San Gregorio d’Ippona.

Gaetano Rubino
Giuseppe Topia

I traffici di droga

Un capitolo a parte è stato dedicato ai traffici di stupefacenti. Raffaele Moscato ha ricordato che il clan dei Piscopisani una notte riuscì a rubare da una serra nel territorio di Francica oltre 100 chili di marijuana. Si trattava di una maxi-piantagione di canapa indiana da mille e trecento chili scoperta e sequestrata il 17 novembre 2009 in un’azienda agricola di Domenico Mazzotta e di Vincenzo Grasso, quest’ultimo direttore dell’Ufficio vendite giudiziarie e gestione aste del Tribunale di Vibo poi coinvolto nell’operazione “Ultimo Incanto” sulle aste truccate. Nel 2005, invece, Rosario Fiorillo, Rosario Battaglia e Michele Fiorillo acquistarono della cocaina da Michele Silvano Mazzeo di Mileto, mentre dieci chili di cocaina sono stati acquistati da Antonio Franzè e Giuseppe Topia di Vibo Valentia che facevano parte del gruppo diretto da Vincenzo Barbieri di San Calogero. Ricordo anche – ha aggiunto Moscato – che per l’acquisto di un carico di cocaina con Nazzareno Fiorillo, a mettere i soldi è stato pure Pino D’Amico della Dmt Petroli”.
I fratelli Sasha e Davide Fortuna, quest’ultimo ucciso nel luglio del 2012 in spiaggia a Vibo Marina dal clan Patania di Stefanaconi, anche loro del clan dei Piscopisani, secondo Moscato avrebbero invece avuto altri canali di rifornimento di sostanze stupefacenti a Bologna, mentre lo stesso Moscato avrebbe portato cocaina a Palermo da Gaetano Rubino e ceduto sostanze stupefacenti a Pizzo “al gruppo guidato da Salvatore Mazzotta”.

Antonio La Rosa

Il gruppo di Tropea ed i Mancuso

Raffaele Moscato nella sua lunga deposizione si è infine soffermato sul clan La Rosa di Tropea. Era guidato da Antonio La Rosa, che io ho conosciuto nel carcere di Vibo Valentia e che ci ha mandato dei regali quando Michele Fiorillo era detenuto. I promotori del clan di Tropea erano Antonio La Rosa e suo fratello Francesco, detto U Bimbu. Erano alleati di Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni. Io personalmente – ha aggiunto Moscato – ho dato mezzo chilo di stupefacente a Giuseppe Zaccaro, genero di Antonio La Rosa, attraverso Davide Fortuna. I Macrì di Tropea erano sotto i La Rosa e all’epoca gestivano la discoteca di Tropea. Antonio La Rosa è stato anche latitante a Vibo Marina, ospitato da Michele Palumbo. A morte contro i La Rosa c’era Salvatore Carone di Tropea il quale diceva che i La Rosa gli avevano ucciso un fratello. A Parghelia, invece, comandava Melo Il Grande”.

Luigi Mancuso

Quindi i riferimenti al clan Mancuso. Il vertice – ha dichiarato Moscato – era costituito da Luigi Mancuso, Cosmo Michele Mancuso e Pantaleone Mancuso detto Scarpuni. C’era invece una rottura con la frangia dei Mancuso guidata da Giuseppe Mancuso detto ‘Mbrogghja, da Diego Mancuso e da Ciccio Mancuso. In seguito ho saputo – ha spiegato il collaboratore – che Pantaleone Mancuso, Scarpuni, aveva fatto pace con il cugino Pantaleone Mancuso, l’Ingegnere, e si erano divisi Nicotera. In carcere, invece, Pantaleone Mancuso, detto Vetrinetta, con i Piscopisani cercava di giustificare il nipote Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni, sostenendo che non era in contrasto con noi che invece gli contestavamo quanto veniva fuori dai giornali. A livello criminale, in ogni caso, la persona più carismatica del Vibonese era Luigi Mancuso il quale, uscito dal carcere nel luglio 2012, ha cercato subito di siglare la pace con noi Piscopisani”.

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