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Nemea e Rinascita, la sete di potere del clan Soriano nella sentenza dei giudici

Il Tribunale di Vibo deposita le motivazioni del verdetto con il quale ha condannato 7 imputati. Prezioso l’apporto del collaboratore Mantella per delineare le strategie criminali di Leone Soriano

Nemea e Rinascita, la sete di potere del clan Soriano nella sentenza dei giudici
Il giudice Tiziana Macrì

Sono state depositate dal Tribunale collegiale di Vibo Valentia – presieduto dal giudice Tiziana Macrì (giudice estensore Gilda Romano, a latere Brigida Cavasino) – le motivazioni della sentenza con la quale il 27 ottobre scorso è stato condannato il clan Soriano di Filandari al termine del processo nato dall’operazione antimafia denominata “Nemea”.
Per 7 imputati ha retto l’impalcatura accusatoria, rappresentata in aula dal pubblico ministero Annamaria Frustaci che, nel corso della requisitoria aveva ricostruito la genesi dell’inchiesta che aveva portato alla contestazione di oltre quaranta capi di imputazione, mentre le persone offese erano quattordici. In Nemea erano poi confluiti, per alcuni imputati, anche le contestazioni di Rinascita-Scott che, tuttavia, per gli imputati Caterina Soriano e Luca Ciconte non hanno retto (assolti infatti dall’accusa di associazione mafiosa). [Continua in basso]

Questa la sentenza: 18 anni e 11 mesi di reclusione Leone Soriano, di 55 anni, di Pizzinni di Filandari (il pm aveva chiesto 29 anni); 12 anni Graziella Silipigni, 50 anni, di Pizzinni di Filandari, moglie del defunto Roberto Soriano (lupara bianca), fratello di Leone (erano stati chiesti 20 anni); 13 anni e 8 mesi Giuseppe Soriano, 30 anni, di Pizzinni di Filandari (figlio della Silipigni, chiesti 24 anni); 5 anni Giacomo Cichello, di 34 anni, di Filandari (pm aveva chiesto 18 anni); 13 anni per Francesco Parrotta, di 38 anni, di Filandari, ma residente a Ionadi (chiesti 26 anni); 11 anni e 11 mesi per Caterina Soriano, di 31 anni, di Pizzinni di Filandari (figlia di Graziella Silipigni, chiesti 20 anni); 10 anni e mesi 9 Luca Ciconte, di 29 anni, di Sorianello, di fatto domiciliato a Pizzinni di Filandari (marito di Caterina Soriano nei cui confronti erano stati chiesti 20 anni).

Assoluzione per Mirco Furchì, 28 anni, di Mandaradoni, frazione di Limbadi (chiesti 2 anni); Domenico Soriano, 62 anni, di Pizzinni di Filandari (fratello di Leone Soriano, chiesto un anno); Domenico Nazionale, 35 anni, di Tropea (chiesto un anno); Rosetta Lopreiato, di 51 anni, di Pizzinni di Filandari (moglie di Leone Soriano, chiesti 4 anni); Maria Grazia Soriano, 49 anni, di Arzona di Filandari (era stata chiesta l’assoluzione pure dal pm); Giuseppe Guerrera, 26 anni, di Arzona di Filandari (chiesto un anno); Luciano Marino Artusa, 60 anni, di Arzona di Filandari (chiesti 4 anni); Alex Prestanicola, 30 anni, di Filandari (chiesti 4 anni). [Continua in basso]

Leone Soriano

Le motivazioni del verdetto

Per il Tribunale, l’escalation degli attentati a Filandari e dintorni dà la chiave di lettura dell’agire del gruppo: gli atti compiuti sono individuabili come la concretizzazione del proposito dei Soriano di consolidare il loro potere, di avvisare tutto il territorio della ripresa del loro comando di certo affievolitosi nel periodo della detenzione di Leone Soriano dal 2013 al 2017”. Per il Tribunale non vi sono dubbi in ordine all’esistenza della cosca mafiosa Soriano operante a Filandari e aree limitrofe, alla luce delle risultanze raggiunte con il vaglio specifico delle intercettazioni, con la valutazione del comportamento e dell’atteggiamento complessivo tenuto dagli imputati, con le valutazioni investigative che hanno ottenuto congruo riscontro nel procedimento e con tutti i dichiarati dei collaboratori, concordi fra di essi e dimostrati con il novero delle risultanze raggiunte”.

Andrea Mantella

L’importanza di Andrea Mantella

Per i giudici è provato che il collaboratore di giustizia Andrea Mantella, escusso in sede dibattimentale, conosceva i Soriano e in particolare il nome di Roberto Soriano, vicinissimo – si legge in sentenza – ai Lo Bianco ed a Paolino Lo Bianco soprattutto, ma anche ai Barba di Vibo. Poi negli anni ’90 Mantella ha incontrato in carcere a Catanzaro-Siano anche Leone Soriano, ritrovandolo nel 2012 nel carcere di Cosenza. In questa sede – spiega il Tribunale – un contatto con Soriano vi è stato quando Leone gli ha chiesto di far arrivare all’esterno un messaggio per uccidere un tale Grasso di San Costantino Calabro che aveva parlato di lui. Soriano si era quindi rivolto a Mantella per avere aiuto in questa vicenda, mettendosi poi a sua disposizione per eventuali situazioni nel Vibonese”. [Continua in basso]

Saverio Razionale

Mantella, unitamente ad altri collaboratori, ha riferito poi della responsabilità del boss di San Gregorio d’Ippona, Saverio Razionale, per la morte di Roberto Soriano. Tutto sarebbe partito dalla richiesta che il boss di Limbadi, Giuseppe Mancuso (cl. ’49), alias ‘Mbrogghja, avrebbe rivolto a Razionale per uccidere Giuseppe Accorinti, a sua volta boss di Zungri. Razionale, però, non avrebbe tradito Peppone Accorinti e da qui la sparatoria ai suoi danni (di Razionale) nel 1995 a Briatico per mano di Roberto Soriano su mandato di Giuseppe Mancuso. Razionale decide così di vendicarsi eliminando Roberto Soriano quale fedele uomo di Peppe Mancuso”. Di tale episodio (l’omicidio di Roberto Soriano), “Andrea Mantella riferisce che Leone Soriano era a conoscenza, come emerso dai loro incontri in carcere, così che Leone Soriano aveva giurato di vendicare il fratello ed uccidere prima o poi Accorinti. E di fatto Leone Soriano aveva riferito a Mantella che erano stati i Soriano ad organizzare un attentato in passato ai danni di Accorinti, all’esito del quale il boss di Zungri era riuscito a scappare mentre è rimasto ucciso un pastore”.

Mantella sarebbe stato inoltre a conoscenza “dei plurimi attentati organizzati dai Soriano nella zona di Ionadi anche ai danni dell’imprenditore Castagna, vicinissimo – si legge in sentenza – ai  Mancuso. Era risaputo che fossero solo i Soriano ad operare in quella zona, con attentati ed estorsioni”.

Roberto Soriano

Leone Soriano e la voglia di comando

Per il Tribunale, Leone Soriano pretendeva di essere l’unico a comandare nella zona di Filandari, Mesiano, Ionadi e nella vicina area del Monte Poro, area dove tutti dovevano pagare l’estorsione. Anzi, Leone Soriano aveva chiesto pure a Domenico Macrì, operante a Vibo Valentia, il consenso per posizionare una bomba intimidatoria nella città di Vibo Valentia contro una piccola fabbrica di nuova costruzione, cosa alla quale Mantella si è opposto facendo desistere Macrì ad interessarsi a faccende a loro estranee”.

Nonostante ciò, Leone Soriano ha fatto lo stesso “esplodere la bomba ed ha avviato – spiegano i giudici – anche altre condotte intimidatorie: il furto di un camion della Vibo Calcestruzzi vicinissimo ai Piromalli, un’appartenenza che non fa desistere Leone Soriano al quale viene data una piccola somma per porre fine alla vicenda e riottenere il mezzo”. Del pari, Leone Soriano ha riferito in carcere ad Andrea Mantella che avevano fatto attentati all’imprenditore Antonino Castagna ed ai suoi familiari all’esclusivo fine di colpire indirettamente il suo protettore Antonio Mancuso”.

Giuseppe Accorinti

Andrea Mantella ha poi raccontato che alla morte (lupara bianca) di Roberto Soriano nel 1997 è “Leone Soriano a prendere il comando della famiglia e del territorio di Filandari e Pizzinni come frazione in particolare, avendo comunque mire pure su altre parti di territorio di competenza altrui, come San Costantino, che però faceva capo a Nazzareno Pugliese. Tanto poiché i Soriano – si legge in sentenza – al fine di espandere il loro territorio di competenza non usavano alcun riguardo nei confronti degli altri boss”. Le ricostruzioni dei collaboratori di giustizia (importante anche Michele Iannello) hanno permesso quindi di “individuare un’attendibilità intrinseca e reciproca fra loro”. Emerge così un quadro sostanzialmente “consolidato circa le vicende che hanno interessato i Soriano, potendo riportare alcune apparenti contraddizioni solo alla maggiore o minore capacità mnemonica dei testi, oppure al dato che trattandosi spesso di notizie riferite da altri, attendibili a loro volta perché tutti soggetti direttamente interessati, sia stato alterato nella fisiologia del ricordo qualche particolare. Infatti già i rispettivi esami e poi la valutazione sono stati epurati dall’analisi di mere voci o dicerie”.

Il nucleo essenziale dei dati esaminati – omicidio di Roberto Soriano, gli intenti omicidiari reciproci fra i Soriano e gli Accorinti, la posizione dei Soriano nella vita criminale ‘ndranghetistica calabrese, il riconoscimento che i Soriano avevano nel mondo criminale di riferimento – deve ritenersi acclarato, non contraddittorio, accertato oltre ogni ragionevole dubbio”.

L’inchiesta è stata condotta “sul campo” dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia con il coordinamento del pm della Dda di Catanzaro Anna Maria Frustaci. Successivamente sono confluiti nel processo Nemea anche gli atti dell’inchiesta Rinascita-Scott, che vedevano coinvolti Leone e Giuseppe Soriano ed altri imputati, in modo tale da unificare con un solo processo i due procedimenti.

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