La Suprema Corte deposita le motivazioni della sentenza costata l’ergastolo a Vito Barbara per la morte di Matteo Vinci. È certo che la Mancuso sapesse che il genero stava per compiere l’attentato e ne ha condiviso le ragioni ma va meglio valutato il suo concorso nel delitto
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Depositate dalla prima sezione penale della Cassazione le motivazioni della sentenza per l’autobomba costata la vita al biologo Matteo Vinci ed il grave ferimento del padre Matteo in data 9 aprile 2018 a Limbadi. Un verdetto con il quale è stata annullata con rinvio dalla Cassazione la condanna all’ergastolo rimediata in appello da Rosaria Mancuso, 67 anni, di Limbadi. Per Rosaria Mancuso la Suprema Corte ha quindi ordinato un nuovo processo di secondo grado dinanzi alla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, in accoglimento di un ricorso presentato dagli avvocati Francesco Lojacono e Valerio Spigarelli (nella fase di merito difesa anche dagli avvocati Giovanni Vecchio e Francesco Capria).
Confermato, invece, l’ergastolo per Vito Barbara, 31 anni (genero di Rosaria Mancuso, assistito dagli avvocati Vannetiello e Costarella) e le condanne a 6 anni per Domenico Di Grillo (marito della Mancuso, difesa dagli avvocati Giunta e Capria), 75 anni, di Limbadi, (ricettazione di un fucile a pompa) e a 3 anni per Lucia Di Grillo (figlia di Rosaria Mancuso, difesa dagli avvocati Vecchio e Rania).
La Cassazione sugli imputati condannati
Per la Suprema Corte, i ricorsi proposti dai ricorrenti Vito Barbara, Lucia Di Grillo e Domenico Di Grillo, nel loro complesso, sono infondati e per questo sono stati respinti. Diversa valutazione è stata espressa invece per il ricorso proposto da Rosaria Mancuso.
La Cassazione ricorda che il procedimento per l’autobomba di Limbadi “è di natura indiziaria e la motivazione della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro è completa, non manifestamente illogica ed esaustiva, in relazione alle posizioni diverse da quella di Rosaria Mancuso, avendo i giudici esaminato e valutato tutti gli elementi di prova e indiziari acquisiti, e non è dunque suscettibile di rivalutazione, da parte della Suprema Corte”. Per la Cassazione è “illogica l'ipotesi di un posizionamento dell'ordigno esplosivo dentro l'auto, addirittura tra il sedile del conducente e la pedaliera. L'omesso accertamento delle modalità con cui l'ordigno sarebbe stato collocato sotto il pianale del veicolo è – si legge in sentenza – palesemente irrilevante, in quanto non inficia le valutazioni derivanti dagli elementi oggettivi acquisiti”.
Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso sono state ritenute “del tutto inattendibili, perché dallo stesso più volte modificate e infine smentite nel dibattimento, tanto che esse, esplicitamente, sono state valutate come irrilevanti ai fini della decisione; quelle intercettate in carcere a carico di altri soggetti, collegati a Emanuele Mancuso, sono state invece ritenute irrilevanti perché generiche, non riferibili con certezza all'imputata Rosaria Mancuso piuttosto che a familiari dell'indicato dichiarante, e comunque provenienti da persone che riferivano informazioni ricevute da una fonte ignota”. Anche quelle rese da un altro collaboratore di giustizia, Walter Loielo, sono state ritenute “irrilevanti e non significative, perché riferite ad un soggetto non identificabile, indicato solo come il cognato”. Non sussiste poi alcun lamentato vizio della motivazione in ordine alla sussistenza di “un odio reciproco” tra i Vinci-Scarpulli e i DiGrillo-Mancuso, e alla sua “plausibilità quale movente della grave azione omicidiaria”.
Francesco Vinci definito “cancro” da Vito Barbara
Per la Cassazione, il ricorso di Vito Barbara non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza di secondo grado, perché “nega l'esistenza di un odio anche da parte degli imputati omettendo del tutto di considerare la prova derivante dalle intercettazioni, nelle quali il ricorrente usualmente si riferisce a Francesco Antonio Vinci con il termine «cancro», commenta con scherno le sue condizioni di salute dopo l'attentato, si dice pronto a fare «u ripijiu» se egli dovesse riprendere azioni contro di loro, e infine dice esplicitamente alla moglie che «il cancro» «andava eliminato prima». Vito Barbara ha inoltre rassicurato Rosaria Mancuso nelle intercettazioni dall'avere percorso una strada priva di telecamere, avendo organizzato tutto nel minimo dettaglio, con la conversazione che si riferisce all'attentato, avvenuto proprio un mese prima, stante la continua rassicurazione che la preoccupazione può cessare, perché le riprese si cancellano automaticamente dopo un mese”.
Le intercettazioni a carico di Vito Barbara dimostrano per la Cassazione “in modo sufficiente la sua responsabilità, con riferimento all'organizzazione dell'attentato e al suo movente, senza mai che egli, o gli altri componenti della sua famiglia – sottolinea la Suprema Corte - avanzino sospetti a carico di terzi, quali autori del grave gesto criminoso o anche solo dimostrino sorpresa per esso”.
La Suprema Corte su Rosaria Mancuso
L’annullamento con rinvio della sua condanna all’ergastolo e, quindi, della necessità di celebrare un nuovo processo di secondo grado è motivata dalla Cassazione con diverse argomentazioni. Non vi è dubbio per i giudici che Rosaria Mancuso abbia “pienamente condiviso le ragioni dell'attentato e della decisione di commetterlo e la donna nelle intercettazioni esprime in modo evidente i suoi timori di essere coinvolta, mentre il genero estende anche a lei la considerazione che sono entrambi fortunati ad essere ancora liberi”. E’ altrettanto certo, inoltre, che nelle intercettazioni Rosaria Mancuso “non si è mai mostrata sorpresa dell'accaduto e dell’attentato, né ha chiesto a sé stessa o ai suoi familiari chi potesse averlo compiuto e per quali ragioni”. Per la Suprema Corte è inoltre logica la motivazione che ha portato i giudici di merito a ritenere provato che Rosaria Mancuso “fosse a conoscenza del momento in cui l'attentato sarebbe stato materialmente compiuto in quanto ella frequentava abitualmente i terreni dove è esplosa l’autobomba e doveva perciò rimanerne lontana al momento del fatto, per la sua personale incolumità”.
Ed allora perché l’annullamento con rinvio della condanna di Rosaria Mancuso? Per la Cassazione “appare sussistente il diverso vizio della non corretta valutazione dell'istituto del concorso di persone. L'accertata consapevolezza della predisposizione dell'attentato, la conoscenza delle sue modalità, del momento in cui sarebbe stato compiuto e dell'identità dell'ideatore, dell'organizzatore o del suo esecutore materiale, e persino l'adesione morale della ricorrente ad esso, possono non risultare sufficienti – spiega la Suprema Corte – per ritenere dimostrato il suo concorso, anche solo morale, nel reato”.
Secondo la Cassazione “la differenza tra concorso nel delitto e connivenza non punibile risiede nel fatto che nell'uno si richiede un consapevole apporto positivo, morale o materiale, all'altrui proposito criminoso, mentre nell'altra è mantenuto, da parte dell'agente, un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare un contributo causale alla realizzazione del fatto”.
Ad avviso della Suprema Corte, i giudici di merito hanno ben motivato la sentenza in ordine alla “condivisione del proposito criminoso da parte della Mancuso, ma non hanno valutato, né motivato, se essa è rimasta una adesione silente e passiva, sino all'esecuzione del gesto criminoso, o se essa si sia estrinsecata in un contributo, quanto meno morale, tale da rafforzare il proposito criminoso di altri, manifestandosi anche solo come una disponibilità a fornire un contributo agevolatore, una collaborazione, una protezione dalle possibili conseguenze negative”. Da qui l’annullamento con rinvio per Rosaria Mancuso per un nuovo giudizio “in merito alla sussistenza, nella condotta di tale imputata, di una forma di concorso nei reati a lei ascritti, e non di una mera connivenza non punibile”.

